Arabo, cattolico o biondo?

Juanita de Paola, 25 Aprile

Quando si dice il mondo, ci si riferisce sempre ad una piccola, minuscola porzione dello stesso: quella che si conosce. E’ per questo che non partecipo volentieri alle discussioni di tema generale che iniziano con “la gente”. Eppure. Se poi si viene da un paesello come quello dove passo buona parte del mio tempo, la percezione del “mondo” è ancora più buffa; ci sono i gruppi di quelli che si ritrovano alla piazza, quelli che invece alla piazza non ci andrebbero mai e scelgono il parco, e i bon vivant che vanno almeno una volta l’anno a Ibiza o a Londra e sono convinti di essere parte di quel jet set internazionale che si sposta in aereo e conosce le cose come vanno davvero.

Quei gesti che nella propria comunità sono codificati, altrove possono vestirsi di un colore molto diverso e non è un caso che le persone che viaggiano tanto siano in genere un pò più tolleranti delle altre; non è un carisma, è sopravvivenza: se nel Maghreb si usano le dita per mangiare il cous cous, simbolo di pace fra i popoli e cena frugale, bisognerebbe essere matti o maleducati a tirare fuori un set di posate portatili. Oltretutto cercare i ristoranti italiani in Germania come in Tunisia porta a cene davvero meschine. Quindi, la consapevolezza che Paese che vai usanza che trovi ti segue in ogni luogo e si trasforma a poco a poco in Paese che arriva, usanza che importa.

Non ho problemi con il saluto alla Mecca, mi piacciono i tappeti stesi verso la “direzione giusta”, trovata con la loro bussola speciale. Ho qualche difficoltà con il loro senso dell’umorismo e le fatwe. Non mi danno noia le moschee nè mi sento meno europea o italiana quando qualcuno vuole pregare il suo dio, piuttosto mi sembra stupido che voglia togliere il mio da un’aula – perchè togliere, perchè non aggiungerne degli altri? Ma se toglierlo da una parete lo farà sentire meglio, che lo tolga: di certo un gruppo di persone può controllare una parete, ma non il mio animo o il mio (sempre più) disperato bisogno di vedere qualcosa più in là di questa vita, qualunque cosa sia.

Posso svolgere il mio tema religioso a casa mia, nella mia testa, senza turbare anche quelli che vorrebbero uno stato laico, perchè no, in fondo il credere è cosa del cuore, lo stato è più pane per la ragione. Non provo più orrore per la chiesa cattolica ora, con lo scandalo pedofilia, di quando hanno iniziato a chiudere i portoni delle chiese per non fare entrare i ladri (e i poveracci) la notte – ma poi perchè le ostie stanno in teche d’oro?

Non mi danno noia i vestiti che coprono la faccia, purchè chi ci sta sotto sia d’accordo. Non sono nemmeno contraria a priori ai kebab nei centri storici, daltronde se si inizia la gara di chi si è civilizzato prima abbiamo qualche speranza di vittoria solo contro gli americani, e non vedo perchè i cinesi siano solo un pericolo. Le cose cambiano, potrei avere in futuro un genero di altro colore e so perfettamente quali sarebbero le difficoltà, giacchè io stessa ho un compagno anglosassone che, pur bianco, è diverso da me in tutto e per tutto. Potrei anche avere una genera, se mia figlia scoprisse di avere gusti omosessuali, e anche su questo non avrei nulla da dire se mi accorgessi che lei è felice così: lei non può entrare nel mio letto, io non entrerò nel suo.

Quello che dei bigotti, degli arrabbiati, dei convinti di essere nel giusto mi ha sempre affascinato è la loro capacità di trasformare in litigio, paura, i piccoli accidenti filosofici che ogni cultura si porta dietro: un deja-vù nel medioevo era stregoneria, oggi è una comunicazione sbagliata fra neuroni e sinapsi, o qualcosa del genere. Mi sorprende l’energia con cui difendono una posizione che porterà loro solo dolore, chiusura, e impossibilità, un giorno, di mangiare con qualche berbero, al tramonto, sotto una tenda. A fianco del deserto. La gente è matta.

2 Comments

  • Febbraio 14, 2020

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