Non è fastidio quello che provo a vedere gli indignati, piuttosto cerco di cacciare il pensiero maligno che mi copre il cervello, me lo avvelena: quanti di voi pagano le tasse? Quanti dei ragazzi accampati hanno le carte per potersi indignare? Ci si indigna una o due volte nella vita, e la violenza che ne deriva è infinita – mi è successo una volta che ho visto un ragazzone schiaffeggiare una ragazzina, e mi è partito il cervello; sono diventata una belva, un animale che non si ricordava di avere quella forza, quell’odio dentro di sè. Non mi piace la violenza nè le leve che la azionano dentro di me. Soprattutto: ci vogliono requisiti, per protestare? Io penso di sì. Ma “io” è una creatura che prova ad essere democratica, ed in fin dei conti la poesia porta all’umanità più delle tabelline.
Provo un piccolo brivido di piacere quando sento che Lehman and Brothers è sotto assedio di uova: loro come indegni creatori, fra gli altri, di bolle immobiliari. Loro come parte di un olimpo che prevede guadagni stratosferici senza sforzo se non il rischio di capitale di qualcun altro, loro come merde squisite. Non è un buon brivido, il mio. E’ un segnale mortifero di un piccolo scatto di insofferenza che vuole offuscare la mia capacità di giudizio tiepido, una delle mie conquiste da quando ho scoperto che accettare le opinioni altrui non è solo buona cosa, ma condizione necessaria e quasi sufficiente per potere sopravvivere nella giungla umana. Se solo quei ragazzi fossero composti, se nessuno usasse la frase “stiamo cambiando il mondo”, se non pensassero di rappresentare anche me, allora potrei parteggiare, da casa. Io padrone, voi indignati che mi mandate i curriculum per essere assunti. Io e voi siamo simili, mai come ora, eppure siamo nemici.
“Stiamo cambiando il mondo” mi rimbalza nella testa, genera un nuovo pensiero meschino: no, state imitando i cortei dei film romatici della novelle vague. Siete ologrammi a colori degli anni sessantaotto, siete come quelli che al liceo indossano la zampa di elefante e il dolcevita nella fase di riscoperta dei Led Zeppelin: siete, come me, carne morta. Voi siete la leva emotiva su cui fa perno la destra becera, quella che “guarda che massa di coglioni a spese dello stato”. Noi siamo la leva emotiva su cui fa perno la sinistra ormai intirizzita, quella che “guarda quegli stronzi a casa a lavorare, mentre i giovani sono in piazza”. Io, piccolo borghese che prova a farcela e si vergogna della macchina senza aria condizionata e apertura centralizzata. Voi, giovani virgulti che hanno la vita davanti e la presunzione di un futuro felice. Noi siamo a dieci centimetri l’uno dall’altro, ma è come se ci fosse un grand canyon nel mezzo: le mani si toccano, ma saltare è un rischio troppo grande. “Guarda che massa di inetti, che poveracci, tutti: leviamoli di lì, non sanno fare il loro lavoro”.
Devo mettere da parte la rabbietta, l’acqua che ristagna pronta per le uova di zanzara tigre, e areare il locale. Devo areare anche il mio cuore. Dovete spalancare il cervello. Dobbiamo stropicciarci gli occhi. Dobbiamo unirci, entusiasti e moderati, per svecchiare il sistema da dentro – senza farsene accorgere. Assumersi le proprie responsabilità civili: fare l’artigiano senza pagare le tasse è la stessa cosa che avere cento giornali e mille televisioni senza pagareil dazio, cambia solo il potenziale d’acquisto. Lasciamo che i “parenti di” continuino a esportare i loro capitali a Montecarlo o in Svizzera: non hanno più una patria che non sia la banca, di essi è il regno dei morti. Ma noi siamo vivi. La rivoluzione è la qualità, la moralità che odia i moralisti, un comportamento talmente probo che chi ci governa – non ci governa, accidenti, che disgrazia – si debba vergognare. Si devono indignare, loro, di sé stessi. Riprendiamoci la legge. Pitturiamoci gli ospedali. Aggiustiamoci le scuole. Coltiviamo i nostri frutti, invece di farli arrivare dalla Nuova Zelanda. Insegnamo volontari ai bambini degli immigrati: questo è un grande popolo, non c’è nulla che non possa fare – persino aldilà dell’evidente inettitudine di “quelli”.
E voi laggiù. Attenzione, sono i moderati che rovesciano i governi e che, se vedono un ragazzone picchiare una ragazzina, fanno la bava dalla bocca. Sono quelli che non protestano che, un giorno, si girano tutti assieme e compongono un corpo pesante, con anni di rabbia sommessa. Sono i moderati che tirano fuori le ghigliottine e fanno i danni più ingenti, quando sentono che non solo si è passato il limite, ma ci si è fatto un accampamento abusivo.
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Attenzione ai moderati. – Le Dispari Opportunità
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