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Correvano anni incredibili

Correvano gli anni incredibili, quelli in cui oggi preparo And if i say to you tomorrow al pianoforte, andiamo in scooter all’Abetone, gita alla Macchia con i panini (gli altri) e un budget per il pranzo nel ristorante (io). Mi piace quel ragazzo Deutch, dice Chiara che non si può, che lui ci prova un pò con tutte – a me piacciono quelli che ci provano un pò con tutte perchè in genere io vinco la partita, la guerra e il piatto. Non succede. Non succede mai quando ci penso, accade solo se sto facendo qualcosaltro: non è strano? Dubitare della res amorosa, è come il bus a Firenze: passa solo se non ci credi.

Passeggiamo su questa linea montana in direzione del lago, con noi questi ragazzini che oggi sono uomini – uno mi ha mandato una lettera esplicita, come dire, ora che siamo grandi possiamo stare assieme: no che non possiamo, tu sei il bambino della cordata lasca e la tua mamma mi sta parecchio simpatica. Ma che fai? Cosa sei diventato? Ti piaccio davvero? Io non credo. Avrai speso un sacco in Sky, macchine, quella roba lì.

Avevamo promesso di no.

Camminiamo nella notte che sembra una fragola nera, con i puntini e l’odore fragrante, rumore di cinghiali – Lei dov’è, mi chiedi? Che ne so io, sei diventata suora nel frattempo, chiedilo tu a Gesù, c’hai più confidenza. Dal cespuglio rumori tremendi, forse moriremo: smettila stupida! Ridere. Forte. C’abbiamo confidenza in due cara, io ancora faccio le preghiere la sera. Accendo candele.

Da qui a ventanni saremo tutti diversi. Tutti dicono che è bene così, invece non è vero niente: falliti. Arresi. Sarete diversi voi.

Ha trovato la pace con la sua cameriera slovacca. Si è tinto i capelli. Ha la barba bianca. Ha iniziato la danza dopo cena. Fa pilates. Piccoli espedienti. Non mi funziona Spotify, a proposito, è rimasto interdetto del fatto che vivo in due posti: cattiva!

E’ una notte londinese dopo il sole – questa è un’isola, la luce o ti ammazza o non c’è.

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La cioncia in borsa

Quando in presenza di orso infuriato, sdraiarsi a pancia in su e fare le moine. Quando in presenza di Londra assolata, ugualmente, chiudere le veneziane tappandosi in un buco e attendere che il popolo bianco rientri in casa: così come allo straniero non è dato vedere un italiano composto sotto la pioggia torrenziale, così a noialtri immigrati non deve essere inflitta la punizione tardiva dell’estate londinese, una benedizione solo per chi ha abbracciato la religione delle flip-flops e delle callosità dure ma un disastro estetico per chi è appena ritornato (dalla Toscana) con l’aspettativa di un pò di pioggia leggera e cielo plumbeo: è tempo di lavorare. E’ tempo di stare dentro.

Talloni induriti ciabattano con dita ciccione lungo il fiume, smalti con colori da bambine, happy hours che si protraggono fino alle dieci di sera quando la piscia diventa incontenibile e le donne cominciano a cacciare il maschio stordito, l’unico disponibile alla concione fisica da queste parti.

Mi hanno cambiato il ragazzo della birra, che non bevo, ma era carino e faceva sempre l’occhietto a Cecilia. Al suo posto due parameci di parecchi metri l’uno e senza tratti somatici. Per fortuna una volta al mese arriva una squadra di rugby. Il mio amico Henry, di cui non ricordavo l’esistenza – e credo nemmeno lui la mia, ma tant’è – ieri sera mi ha comprato una bottiglia di bianco francese molto buonino, welcome back, grazie, ma chi sei? Scherzi a parte: chi sei?

La ragazza con i capelli rossi che non indossa mutande e porta i vestitini leggeri a pois si è chinata anche ieri per mettersi al sedere: nessuno vuole guardare sotto quel gonnellino, a parte me che covo la speranza di vederci un bel paio di spantex. Macchè. La chiamano la signorina allenamento (Ms Training) perchè a lei si deve lo svezzamento di qualcheduno di questi carciofi. E sai non si direbbe: secchina, bellina a quella maniera, senza trucco, coi capellini pettinati – queste cose te l’aspetti dalle golosacce.

Stasera esco. Ho scaricato l’applicazione che ti permette di inserire la tua partenza e la destinazione e ti guida dove devi arrivare con semplici indicazioni adatte alle femmine: “prendi il bus numero 12, conta dieci minuti, scendi, girati, cammina alla fermata, monta sul tube giallo e scendi dopo 8 fermate”: una pacchia, perchè il mio problema più grande – non solo in questo dipartimento, non solo qui – è che scambio i numeri e le lettere, per cui il treno numero sette delle due e mezzo diretto a Ladbroke diventa automaticamente l’autobus numero due che alle sette e mezzo arriva a Landott. Mi perdo. Piango. L’anno scorso sono andata a prendere la Barbarina all’aeroporto il giorno prima: arrivava il 19 alle 18, sono andata il 18 alle 19.

Stasera gli amici mi danno il benvenuto e mi hanno cucinato il ragù, che poi c’è da spiegargli che io è da quattro anni che non ceno, ma non importa, mi infilerò gli spaghetti nelle maniche o dentro le tasche come al solito. Spero che ci sia il vino rosso. Mi ricordo quando ho infilato due piatti di cioncia nella borsa, e l’agenda che ha puzzato di maiale per un anno.

Si riparte.

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Pescia e l’amore e Corelli

Mi ha messo la catenella. Quindi alle due ho iniziato a chiamarlo come un ossesso e sono sicura che almeno in dieci case mi hanno sentito. Qualcuno ha urlato ‘chiamo i carabinieri’ e io ho pensato fai bene, perché ora io lo ammazzo. Ho urlato dalle due alle due e trenta, pensando che fosse lì dietro il portone a ridacchiare, invece no. Dormiva proprio. E’ scesa la piccola e mi ha aperto la catenella un pochino spaventata ma insomma tutto bene. Le ho dato la buonanotte e ho richiuso la porta dietro di me. Avevo l’alone di Okuto.

Ho atteso. Ho letto. Ho atteso. Ho letto.

Poi ho riempito un secchio di acqua gelida, ho salito le scale con leggerezza e l’ho rovesciato addosso alla mia dolce metà, provocando un di lui salto da fermo che, c’è da dire, ricorderò per sempre con allegria. Sono andata a letto, un altro letto, pensando a cosa avrei fatto l’indomani per vendicarmi più approfonditamente – la mia colpa quella di essere andata a cena da sola con la mia amica Bionda, per festeggiare il di lei compleanno. L’Inglese non ama essere trascurato. Lui è come un lavoro a tempo pieno non pagato (ma) in un resort di lusso, il figlio spurio di uno sceicco convertito al pauperismo, una dicotomia vivente che meriterebbe un’analisi profonda o un analista a cottimo.

Così siamo andati in un ristorante a festeggiare il giorno dopo, perché la vita è corta e le mie gambe pure. Ho selezionato i piatti più costosi e li ho ordinati tutti. Il ristorante è di Igles Corelli che non conosco ma dai piatti direi un rivoluzionario e un riottoso. Il melograno mi ha curato, il vino mi ha guarito, il pesce crudo mi ha riportato alla ragione. La famiglia è di nuovo compatta. L’Inglese è cascato e si è aperto un pezzo di testa. Ti sta bene, ho pensato. Poi però mi sono pentita. E’ che quando mando gli accidenti arrivano bene e subito.

Pesce crudo. Otto tipi. Morbido, fresco, sensuale. Menù dispettoso. Non ho capito la foglia d’oro ma ci stava bene, e siccome non sono un critico ma una che mangerebbe sempre, se potesse, ho deciso che ci stava bene anche quella e l’ho mangiata. Ho divorato i fiorellini colorati. Ho fatto scarpetta. Ho mangiato il pane di nascosto da me stessa – come sempre.

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Astinenza e lasagne

Sono stata ad una premiere a vedere il film The Croods, la storia della mia famiglia nella versione che va a finire bene.

Naturalmente ho finito tutti i pacchi di popcorn ricoperti di miele offerti dalla Disney & Co a noi persone importanti che si va agli eventi per fare clamore. Ho terminato il mio, quello della bambina e anche quello dell’Inglese, la mia dolce metà, che mangia e veste solo cose raffinate, di certo non un pacco di questi. Ogni boccone mi ha reso più triste di quello precedente: il mio cervello, così lasco in ogni dipartimento, è invece un contatore automatico di calorie ad altissima precisione e un erogatore di sensi di colpa allo stesso tempo.  

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Quello che fanno gli altri

Immagine Mi alzo prima di tutti. Se non lo faccio vuole dire che c’è qualcosa di triste che mi blocca nel letto e che sto cercando un buco all’interno del materasso in cui svanire come il bianconiglio. Poi si alza lei, la regina della casa, il buco nero del mio tempo, la fine del sesso droga and rock n’roll e l’inizio dell’amore che è una banca di ossigeno.

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Forse vuole la maionese

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La dolce Cara mi viene a trovare a sorpresa con il suo bagaglio di problemi irrisolvibili. Certo è strano, ti chiedi ad un certo punto della vita, che ci siano persone – donne – cui va sempre tutto storto, i cui parenti siano atroci profittatori, tagliagole, cattivi dentro nel profondo. Donne incomprese, eppure omnicomprensive e onniscenti, come lei. Guai a passare al vaglio della Cara, non se ne esce vivi: ha giudizi implacabili su chiunque, in particolare sulle povere donne ‘normali’, banali. Cretine. Grasse. Vestite male. Avevo già detto banali? 

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Tutti fuorché me

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Porto la piccina a scuola. Scelgo il percorso lungo il fiume perchè quello dietro la casa è più corto ma non ha nessuna attrattiva, oltretutto c’è da attraversare il ponte della ferrovia e lassù ci sono sempre dieci gradi meno che in Svezia. Non parliamo, perchè io mi aspetto da lei una comunicazione di tenore adulto che lei non può conoscere e lei vorrebbe che io corressi e saltassi e facessi cose strane, come lei. Quindi ci diamo la mano e la strizziamo a intervalli abbastanza regolari, credo che entrambe pensiamo che ogni pressione vale un ti voglio bene, da parte sua, o un ti ringrazio, da parte mia. 

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Questo siamo oggi

juanitadepaolaLa mia revisione mensile consiste nell’esercizio di immobilità: per due giorni almeno scelgo un angolo e mi ci infilo, come un gatto cieco, senza muovermi se non per bisogni di tipo elementare. Ci metto sessanta ore per mentalmente ripercorrerne seimila, dormo di continuo, mi lascio gonfiare gli occhi, dolere la schiena, brontolare la pancia e infilo spesso il naso nella maglia per sentire quell’aroma di bambino invecchiato che si piglia quando si sta a letto per molte ore: certe volte sembra di potere odorare il grembo della madre, la carezza del padre, la mano ruvida della nonna.

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Del coraggio

Il coraggio (cor habeo, da cor, cuore e habere, il verbo avere) è la virtù che non ci fa sbigottire davanti ai pericoli, ci fa affrontare i rischi senza stare tanto a pensare, non ci fa abbattere per dolori fisici o morali e, più in generale, ci fa affrontare a viso aperto la sofferenza, l’incertezza o l’intimidazione. Per quanto mi riguarda il coraggio ha più a che fare con i no che con i si, con l’entrare in una stanza piena di persone senza sentirmi un residuato bellico inesploso, stesso appeal – ma ognuno deve abbattere il suo drago.

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Ovaie, tube, isotopi

Juanita de Paola

Ho sempre considerato la musica da discoteca un segnale chiaro dell’impoverimento di una cultura, nel senso della sua implosione, del suo decadimento: così come al principio Essi danzavano sensualmente attorno al fuoco ritmi complessi e fisicamente difficili da sostenere, così alla fine Essi ciondolavano al battito di una sequenza quattro quarti (unz unz) re-sol-la minore, spostando il baricentro del corpo da un lato all’altro del suo asse, come oranghi dopo una canna.

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Cassis: è Natale

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E ci siamo. Non allo scarto gioioso e feroce dei regalini da parte dei piccini, che mi ricorda il minuetto animale fra iene e carogne, ma alla fine vera della gioventù: la fine dell’attesa con sorpresa, decretata dal sapere con precisione cosa sta sotto l’albero e l’ordine esatto con cui tutto va aperto, al fine di ottenere quel climax disegnato mentalmente. 

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A che ora arriva Natale?

juanitadepaola

Non c’è traccia del tempo che è passato, caro Filodemo, nella mia faccia. Si è fermato il giorno che sei partito per Manila e a questo punto non farà danni fino al tuo ritorno – che ho sognato stanotte. Quando ti rivedrò mi cascheranno assieme faccia e collo, diventerò un chou-chou, perchè la natura toglie e la natura dà: tutta quella felicità deve pure avere un contraltare. 

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Alice (and me)

Juanita De Paola

Ci sono due modi di vedere Lucca. Uno è quello del popolo minuto: leggi la guida rossa del Touring, poi fai un confronto medio ponderato fra TripAdvisor e Altissimo Ceto, chiami un amico che c’è già stato di cui ti fidi per confermare talune intuizioni, inoltre scarichi il pdf della cronaca locale degli ultimi due anni per verificare ‘cose’, stampi la mappa del percorso più lungo o panoramico consigliato da Via Michelin e infine parcheggi a miglia dal centro perchè ti hanno spiegato che dentro le mura è impossibile, presuntuoso, cercare un posto macchina – che non comporti comunque una multa da trentordicimila euro.

L’altro modo è conoscere la signora Alice.

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Strane cose per amore

Il calabrone mi si appoggia sulla coscia. Provo a mandarlo via con la mano, ma ho paura di farlo arrabbiare, e poi da dove è entrato, e perchè mi va verso i piani bassi, oddio se mi punge lì morirò di dolore – di schifo. Mi fanno schifo le cose che vanno veloci e sono piccole. Orrore, mi fanno.

Sorella due lo schiaccia con la borsa del ghiaccio che ha sotto il collo. Ce l’ha in mano perchè ha una colica renale mascherata da dismenorrea, e stiamo correndo all’ospedale, una Regione più un là. Ieri eravamo in Francia. Sono giorni che guidiamo.

Questo, l’ape, succede minuti prima che un camion davanti a noi perda un container celeste, che rimbalzerà dovunque attorno alla macchina, andando a sbattere contro il guard-rail e mancandoci, se Iddio vuole, completamente.

“Parla”. Mi dice Sorellina. “Così mi distraggo”. Siamo quasi morte, quindi sì, parliamo.

Le racconto dell’unica volta in vita mia che ho tradito, ero piccola ma insomma non così piccola, e mi stupisco perchè non l’avevo mai detto a nessuno. Proprio a nessuno. Ma i nostri difetti, le nostre deviazioni, a questo servono, forse: quando c’è qualcuno che sta molto male, glieli raccontiamo e diamo un’anteprima sconosciuta di noi, che almeno distrae per qualche minuto.

“Continua”. Mi dà un tema stavolta, mi dice “quando sei stata felice?”.

Inizia il consuntivo, solo che non riesco a finirlo perchè dovrei arrivare in Turchia a piedi per terminare di enumerare i momenti felici. Chiedo se posso invece parlare dei tempi in cui sono stata molto triste, questo sì, perchè si contano sulle dita di una mano – tutto il resto sono le cose buone. Non che io non pianga, o che non soffra, ma la tristezza la lascio entrare solo quando so che non c’è soluzione.

Oggi, ad esempio, credo di essere triste.

Dico “credo”, perchè mi rifiuto di credere: mi rifiuto di essere triste e sconfitta. Ho deciso che persino andare a fare la spesa la domenica è un atto di infinita gioia: perchè non zoppico, perchè mia figlia ci vede, perchè ci sono i soldi per fare la spesa, perchè dentro fa fresco, perchè un giorno non lo potrò più fare, perchè la cassiera è una donna gentile, perchè la gente mi piace, perchè il reparto dei giochi mi garba come quando ero piccina e posso continuare per un’ora. Fino alla Turchia a piedi.

Io penso che siamo vocati alla santità, quella umana e quella divina. E che chi non ci si applica molto si perde moltissimo. Allo stesso tempo, è difficile decidere cosa fa bene e cosa fa male, quando (quasi) tutto quello che si vuole è vedere chi si ama sorridere. Stare bene. Ci si dimentica di sè, da una parte, e poi diventa tutto nebuloso: cosa è giusto, cosa è sbagliato, chi lo sa e, soprattutto, come faccio, io, a non capirlo mai?

Mi compro un furgoncino.

L’ho deciso dopo mesi di dissertazioni in solitaria e un consulto approfondito con Sorellina, che di macchine se ne intende. Sorelletta, invece, sa smontare e rimontare le moto.

Voglio un furgoncino tipo Bedford. Una cosa da rockstar, con il rosso e le nuvole disegnate. Ma anche comoda che ci posso portare gli amici e andare a trovare le persone con altre persone. Il mio furgoncino deve avere il subbufer, perchè in macchina (e a casa) si ascolta quello che dico io e come lo dico io: grasso, coi bassi che pompano contro lo stomaco.

Ce ne andiamo in direzione Ospedale per scoprire che la Sorellina ha diciotto calcolini renali e riempirla di flebo, medicine, antidolorifici. Finalmente dorme, in barella. Ha le labbra arse, sembra una veccia.

Il calabrone è morto. Chissà da dove è entrato quel mostro schifoso.

Il convoglio che ha perso il bidone blu si è fermato da una parte, “Supera” mi dice con tono perentorio Sorellina. Poi mi spiega come si calcola il rischio del superare – sono quella che guida peggio in famiglia. Ci provo, poi in curva mi viene da chiudere gli occhi e frenare, e mi sudano i baffi.

Preferisco il treno mille volte.

Ho pensato molto alla vulnerabilità, questi due anni. Ho pensato che devo scrivere e così infilarmi nelle mie gogne da sola. Credo di capire che questo sia il mio lato più dolce, quello più giusto: ho fatto come fanno i cani piccoli, quando incontrano i canoni, che si buttano con la pancia sopra e la testa di lato, come dire, fai di me quel che credi, ho capito che sei più forte.

Forse, come canino, la scampo.

Ho pensato che non ho mai ragione, perchè “ragione” non mi interessa più. L’ho mollata anni fa, ho scelto il sentimento sulla ratio, la vita sulla conservazione, le cose matte rispetto a quelle giuste. Ho pensato che non ho mille anni davanti, e che le onde si possono alzare quanto vogliono, tanto io ora nuoto piano piano, sempre con la testa su, senza affogare. Ho pensato che sono felice.

Ecco perchè oggi sono un pò triste: perchè so cosa è la felicità. La chiamo col suo vero nome e lei mi risponde mentre faccio le cose di tutti i giorni. Ogni tanto mi lascia qui, in balia di qualcosa, ma poi torna.

Ylenia mi fa vedere la foto del suo bambino: ha cinque anni. Lo vede ogni due, o tre anni. Come se un anno più o meno, dico, non ti levasse il fiato. Un’ora ti fa impazzire, quando hai un bambino, chissà un anno. Tre anni. Lavora qui presso signori, ha ventanni e una famiglia di mille persone. Mi gira il suo profilo di facebook, il suo bar, la sua immagine, ha Gesù scritto a colori, e poi qualcosa nella sua lingua, che vuole dire “Mi sento amata da Te”. Sotto, le foto del suo bambino e il suo marito, con il tag alla Mamma. Mamma gioco a calcio. Mamma faccio la spesa. Ecco, mamma, sono al mare. Mamma è qui con me, guadagna bene e lavora. Stasera ci mangiamo la mortadella e il pane di Mario, ma questa è un’altra storia.

Passiamo un sacco di ore assieme stanotte, dobbiamo aspettare gli ospiti che arriveranno tardissimo – le case mi piace sistemarle a me, col cencio e i fiori, con le candele accese e Bach nello stereo. Due o tre ore a fare le faccende, perbenino, perchè la casa mi deve assomigliare quando ci entrano le persone, perchè io assomiglio alle persone che ci entrano.

Guardiamo le foto dei figli. Anche la mia. Nessuno parla la lingua dell’altro, ma ci capiamo. Mi raccontano storie, gli racconto storie. Strano che la felicità è tanto più grande quanto è legata a grandi dolori.

Si fanno strane cose, per amore.

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Che bel fine settimana, col Singapore nelle mana (J3M)

Jack 3 Mani

Questa estate è bella torrida come piace a me, giornate annichilite da un caldo inesorabile che tocca il suo apice verso le due di pomeriggio soffocando respiri e rumori.

Apro le porte di questo locale per darvi riparo dalla canicola e per offrirvi verso sera la compagnia di una signora molto esperta, un ladies drink quasi centenario, che Vi condurrà con eleganza nelle vie oscure del vizio e del piacere. Vi conosco ormai volubili bevitori, in queste giornate tropicali, appena il sole comincia il suo tramonto, si risvegliano in Voi le peggiori intenzioni e i più torbidi desideri.

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Il dono salvifico delle donne

Juanita de Paola

E’ questo, forse, il ruolo e dono salvifico, l’unico delle donne: riportare la media ponderata nell’esprit, nonostante la propria natura punto rigorosa.

Ero sola in Galizia a scoprire l’accoppiata sigaro e champagne, i rossi contro i blu, la vecchia di Celidon, a scappare da un ragazzo canadese insistente quanto pedante, e oggi sono sola con il detergente alla varichina e un water, un sacco di gente attorno e la manicure con lo smalto cotto, trenta euro, che dura anche quando usi il bruschino. Parrebbe una parabola discendente , ma sto provando a spiegare a Figaro che così non è, che il quel water lo abbraccio e ci parlo, perchè ci si appoggiano sopra sederi parecchio preziosi. 

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Vieni che ti mordo la testa

Juanita

Davvero poche cose mi fanno arrabbiare.

Se ci penso bene sono così poche da essere trascurabili, praticamente. Non mi fanno sussultare le persone che mi superano dal gelataio o al bagno del bar, no, oppure quelli che mi suonano forte in macchina perchè vado troppo piano (hanno ragione). Non provo rancore per quelli che alle poste tornano indietro senza il numerino e dicono “devo solo comprare un francobollo” – e io che dovevo fare, impastare un panettone? E non replico se alla fine di una fila mastodontica mi dicono che la cassa è chiusa, che la carta è finita, che la signorina deve scappare via perchè il figlio esce da scuola. Non mi interessa, a dire la verità, nulla se non di stare tranquilla.

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This is the age of cinta

Juanita de Paola

E’ arrivato l’Inglese, con un bastimento carico di: ansia. Quando l’ho conosciuto era così, efficiente, molto impegnato, stressato, con una colite gastritico nervosa che lo faceva stare sveglio la notte e dormire di giorno. L’insonnia è il metro con cui misura il successo del suo lavoro – ci riconosco molto dell’abitudine maschile a diventare tutt’uno col prioprio uffizio, finchè non arrivano gli omini con le camicie che si abbottonano di dietro e quel casco di gommapiuma molto Manhattan in bicicletta.

Ha portato qualche centinaio di sterline di vestiti per la giovin principessa Mezza Pinta, che ha vagliato il cargo e approvato il settantapercento della stiva. Lo ha poi spedito al negozino a prendere i leggings, che si era fatta promettere. Ha detto mi vuoi mettere anche qualcosa che mi sta comodo quando corro o no? L’Inglese è in fase di assimilazione contrariata della personalità di Mezza Pinta, che non sente seghe e vuole giocare (orrore) come tutti gli altri bambini, in tenuta da fan dei Mötley Crüe.

La valigia è piena di vestitini rosa svolazzanti e scarpine con i fiocchini. Anche quelle scarpine nere col laccino sulla fiocca del piede che immagino andassero di gran moda ai tempi della poliomelite. Non si scampa.

La casa regge, per ora. Gli ho detto questa è la tua stanza, qui dentro puoi fare quello che vuoi purchè non vada a fuoco, ma nel resto della casa io prendo e butto nella spazzatura. Non credo che funzionerà sul lungo raggio, ma per ora ci siamo.

Ha apprezzato molto le nuove tende marocchine sopra la vasca, che danno un effetto coloniale al bagno grande, quello con dentro i giornali freschi di stampa, chè sulla tazza con l’iPad ci leggete voi, se vi va.

Ha detto che non ha trovato nulla di carino per me stavolta e che Figs di Jo Malone non c’era, quindi ciccia. E’ il suo modo per dirmi che è arrabbiato con me, ma non so ancora di cosa. C’è sempre un motivo, rientro nel Grande Gruppo Umano che fa incazzare gli altri mentre non se ne accorge – che fortuna.

Ha lasciato il cellulare sul tavolo e ci ho dato una sbirciatina, c’era un sms di una signorina molto famosa per il suo fondoschiena, ma non quella che balla e canta, un’altra. Diceva grazie, è stato un piacere di averti conosciuto, chiamami quando eccetera. Scoprirò più tardi nella sera che c’è stata una festa pazzesca, una première, che me l’aveva detto, che l’avevo dimenticato, al solito.

Non ho memoria breve e voglio donare il mio cervello alla scienza per vedere come ha fatto il mio sistema immunitario a sviluppare questa difesa pazzesca: non ricordo niente. Dieci minuti prima di un appuntamento mi viene in mente che ho un appuntamento, e vado. Così la notte prima non ho ansie, non ho angoscia – perchè non ho memoria.

Alla festa pare ci siano successe cose pazze, me lo conferma il Quasi Papà dell’Inglese, informato dei fatti. Rincara la dose sua sorella, che mi conferma che una settimana fa si trovava ad una festa della polizia e anche lì la gente si infilava roba nel naso, beveva come se non ci fosse domani e c’erano un sacco di giovani un pò fuori di senno. Che lei e il marito erano andati solo per buon vicinato e che erano venuti via subito.

Se vado all’inferno ci sarà una festa e gente su di giri. E un privè.

Stanotte hanno suonato il campanello alle quattro e mezzo, appurato di corsa che non era morta sorella tre in un incidente ma che una sua amica si era dimenticata le chiavi di qualcosa in qualcos’altro, o roba del genere, sono tornata a letto e ho deciso che non è più tempo per gli ippopotami di stare nella pozza dello zoo.

Non è più tempo per le tazzone di caffè americano nella pacata atmosfera (bolla) della provincia toscana, in attesa che la vita prenda una piega cui adeguarsi – sebbene io vanti una capacità di adattamento che nemmeno i Pesci Pilota.

This is the age of maiale di cinta.

Sono entrata nella grande costellazione del Prosciutto. Si è tolto Saturno dall’ascendente e c’è entrato un mattone di Lardo di Colonnata. E’ successo qualcosa, un click, per cui ho deciso che il mio sogno della colonica con l’orto (curato da qualcun altro) è ora che lo devo inseguire, non fra trentanni o “lo faccio dopo”. Il mio sogno di una vita che sa di caminetto, di pipa e di cose antiche, di pane caldo, di bambini che corrono nell’aia, è ora.

Gotta: here I come.

Guardo Mezza Pinta e penso che per me quelle scuole private del cazzo piene di bimbi ariani rimarranno lì dove sono. Che lei ha diritto ai fiori, ai ruscelli, a quello che le pare. Che il gruppo di futuri vincenti che si conoscono fin da piccini e hanno l’uniforme e sfidano il freddo è un altro tentativo goffo di battere la morte a suon di protocolli: ma la vita si svolge altrove, laddove non la programmiamo.

Vediamo cosa ne pensa l’Inglese, se ci saranno deflagrazioni o grandi aperture. Se sapremo come coordinare la metropoli e la campagna, la tradizione e la ribellione: abbiamo un patrimonio così eterogeneo che dovrebbero venire fuori rose nere, mammiferi con le branchie, grattacieli sotto terra. Almeno ci speriamo.

Per ora dorme.

E dormirei anche io, se avessi trangugiato la quantità di brufen che ha diluviato lui ieri sera, per Toutatis.

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Nella vecchia fattoria

Juanita de Paola

Nei miei piani del futuro prossimo c’è quello di aprire una fattoria, abitazione e scuola, con le galline e se mi piglia il coraggio qualche bel maiale. Una rete wi-fi così sostanziosa da potere alimentare i frigoriferi, certo, e attrezzature informatiche dure, soffici, volatili all’avanguardia. L’importante è che la musica esca con i bassi, amo i bassi che mi rimbalzano sulla pancia – tutto il resto arriva secondo.

Mi dedicherò al marketing ma anche all’orto, non nel senso che tiro su i pomodori ma che li colgo e li affetto e li mangio. Magari posso anche innaffiare una o due volte al mese, ma l’atto pratico ripetitivo mi annoia a morte, quindi è bene che altri si dedichino al verde. Io, piuttosto, arrotolo i cavi.

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Col pareo e l’oro alle caviglie

Juanita de Paola

Bisogna proteggere la vita a costo di rubare le ampolle di acqua santa in chiesa o accollarsi figli di quegli altri. Non abbiamo molto tempo di leggere le manovre economiche una volta che si è aderito, mani e piedi pieni di gesso e poco altro, a questa parete orrida quanto panoramica; non abbiamo nemmeno la resistenza per potere stare fermi o addirittura notare l’altrui feticismo: ci fa allegria, piuttosto, sapere che esiste.

Mamma fa le prove del suo spettacolo teatrale in casa, la ascolto e cerco e i fagiolini da sbucciare per l’Inverno. Il lavabo è immenso, questa è la casa più bella che avremo: fuori ci sono le lucertole e dietro i maiali con le galline. C’è il caco in giardino e perde quei frutti che non mangio, che sembrano palle di moccolo. 

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Uomini

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L’inglese è in crisi nera. Mi chiama in orari poco composti per lamentarsi con quella voce a me intollerabile, da vecchia che chiama i gatti degli altri nel proprio giardino: dalle quattro alle nove, quando lavoro, oppure dalle undici di sera in poi, quando dormo cullata dai documentari sugli animali che lascio accesi tutta la notte, perchè la voce dei doppiatori mi sembra una carezza amorevole sulla testa. Continua qui.

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Le ciliegie rimangano intatte (by Jack Cappelli)

Manhattan

Questo bar avrebbe dovuto avere delle lampade nuove, ne ho fatto espressa richiesta alla proprietaria ma ne vedo manco una sui tavoli. Sono lampade bellissime – di un certo livello – che avrebbe reso questo posto all’altezza della sua raffinata clientela. E’ un peccato che non ci siano perché oggi sono un po’ nervoso, sono reduce da un pessimo cocktail.

Mi trovavo in un bel locale, così sembrava, non c’era nemmeno molta gente e gli scaffali erano ben forniti di rum e whisky, allora ho chiesto al barista se avesse del Canadian. Si è girato con l’ aria un po’ smarrita e dopo un secondo di riflessione ha detto “ ah il uischi si si”, “bene” ho risposto, “preparami un buon Manhattan”.

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Problema

Juanita de Paola

La piccina ha trovato la sua vittima privilegiata, un ragazzo che rientra da Londra – dall’inaugurazione del nuovo negozio di Prada. Mezza Pinta sapeva leggere Prada a tre anni, e così pure Cartier e Gucci: deve questo talento al sua daddy, che è un pierre  londinese per cui l’immagine conta e anche la marca. Si è messo con me, l’antimateria dello shopping, l’eretica della moda, il maschio con le puppe, per espiare le colpe di una vita vacua. Mi sono messa con lui per sapere sempre cosa pensa il nemico.

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Pillole e merendine

Juanita de Paola

L’inglese si stordisce come gli elefanti per dormire – in fin dei conti è americano, proviene dalla terra foriera di libertà, empeachment e antidolorifici. Ha una collezione di pillole di tutti i colori che valgono per poco sonno, nottata tremenda, sveglia lucida alle tre e altri cataclismi che colpiscono noi esseri umani nell’ora perfetta, quella in cui torniamo rannicchiati fra le braccia della mamma e ci facciamo fare grattini onirici.