
Il calabrone mi si appoggia sulla coscia. Provo a mandarlo via con la mano, ma ho paura di farlo arrabbiare, e poi da dove è entrato, e perchè mi va verso i piani bassi, oddio se mi punge lì morirò di dolore – di schifo. Mi fanno schifo le cose che vanno veloci e sono piccole. Orrore, mi fanno.
Sorella due lo schiaccia con la borsa del ghiaccio che ha sotto il collo. Ce l’ha in mano perchè ha una colica renale mascherata da dismenorrea, e stiamo correndo all’ospedale, una Regione più un là. Ieri eravamo in Francia. Sono giorni che guidiamo.
Questo, l’ape, succede minuti prima che un camion davanti a noi perda un container celeste, che rimbalzerà dovunque attorno alla macchina, andando a sbattere contro il guard-rail e mancandoci, se Iddio vuole, completamente.
“Parla”. Mi dice Sorellina. “Così mi distraggo”. Siamo quasi morte, quindi sì, parliamo.
Le racconto dell’unica volta in vita mia che ho tradito, ero piccola ma insomma non così piccola, e mi stupisco perchè non l’avevo mai detto a nessuno. Proprio a nessuno. Ma i nostri difetti, le nostre deviazioni, a questo servono, forse: quando c’è qualcuno che sta molto male, glieli raccontiamo e diamo un’anteprima sconosciuta di noi, che almeno distrae per qualche minuto.
“Continua”. Mi dà un tema stavolta, mi dice “quando sei stata felice?”.
Inizia il consuntivo, solo che non riesco a finirlo perchè dovrei arrivare in Turchia a piedi per terminare di enumerare i momenti felici. Chiedo se posso invece parlare dei tempi in cui sono stata molto triste, questo sì, perchè si contano sulle dita di una mano – tutto il resto sono le cose buone. Non che io non pianga, o che non soffra, ma la tristezza la lascio entrare solo quando so che non c’è soluzione.
Oggi, ad esempio, credo di essere triste.
Dico “credo”, perchè mi rifiuto di credere: mi rifiuto di essere triste e sconfitta. Ho deciso che persino andare a fare la spesa la domenica è un atto di infinita gioia: perchè non zoppico, perchè mia figlia ci vede, perchè ci sono i soldi per fare la spesa, perchè dentro fa fresco, perchè un giorno non lo potrò più fare, perchè la cassiera è una donna gentile, perchè la gente mi piace, perchè il reparto dei giochi mi garba come quando ero piccina e posso continuare per un’ora. Fino alla Turchia a piedi.
Io penso che siamo vocati alla santità, quella umana e quella divina. E che chi non ci si applica molto si perde moltissimo. Allo stesso tempo, è difficile decidere cosa fa bene e cosa fa male, quando (quasi) tutto quello che si vuole è vedere chi si ama sorridere. Stare bene. Ci si dimentica di sè, da una parte, e poi diventa tutto nebuloso: cosa è giusto, cosa è sbagliato, chi lo sa e, soprattutto, come faccio, io, a non capirlo mai?
Mi compro un furgoncino.
L’ho deciso dopo mesi di dissertazioni in solitaria e un consulto approfondito con Sorellina, che di macchine se ne intende. Sorelletta, invece, sa smontare e rimontare le moto.
Voglio un furgoncino tipo Bedford. Una cosa da rockstar, con il rosso e le nuvole disegnate. Ma anche comoda che ci posso portare gli amici e andare a trovare le persone con altre persone. Il mio furgoncino deve avere il subbufer, perchè in macchina (e a casa) si ascolta quello che dico io e come lo dico io: grasso, coi bassi che pompano contro lo stomaco.
Ce ne andiamo in direzione Ospedale per scoprire che la Sorellina ha diciotto calcolini renali e riempirla di flebo, medicine, antidolorifici. Finalmente dorme, in barella. Ha le labbra arse, sembra una veccia.
Il calabrone è morto. Chissà da dove è entrato quel mostro schifoso.
Il convoglio che ha perso il bidone blu si è fermato da una parte, “Supera” mi dice con tono perentorio Sorellina. Poi mi spiega come si calcola il rischio del superare – sono quella che guida peggio in famiglia. Ci provo, poi in curva mi viene da chiudere gli occhi e frenare, e mi sudano i baffi.
Preferisco il treno mille volte.
Ho pensato molto alla vulnerabilità, questi due anni. Ho pensato che devo scrivere e così infilarmi nelle mie gogne da sola. Credo di capire che questo sia il mio lato più dolce, quello più giusto: ho fatto come fanno i cani piccoli, quando incontrano i canoni, che si buttano con la pancia sopra e la testa di lato, come dire, fai di me quel che credi, ho capito che sei più forte.
Forse, come canino, la scampo.
Ho pensato che non ho mai ragione, perchè “ragione” non mi interessa più. L’ho mollata anni fa, ho scelto il sentimento sulla ratio, la vita sulla conservazione, le cose matte rispetto a quelle giuste. Ho pensato che non ho mille anni davanti, e che le onde si possono alzare quanto vogliono, tanto io ora nuoto piano piano, sempre con la testa su, senza affogare. Ho pensato che sono felice.
Ecco perchè oggi sono un pò triste: perchè so cosa è la felicità. La chiamo col suo vero nome e lei mi risponde mentre faccio le cose di tutti i giorni. Ogni tanto mi lascia qui, in balia di qualcosa, ma poi torna.
Ylenia mi fa vedere la foto del suo bambino: ha cinque anni. Lo vede ogni due, o tre anni. Come se un anno più o meno, dico, non ti levasse il fiato. Un’ora ti fa impazzire, quando hai un bambino, chissà un anno. Tre anni. Lavora qui presso signori, ha ventanni e una famiglia di mille persone. Mi gira il suo profilo di facebook, il suo bar, la sua immagine, ha Gesù scritto a colori, e poi qualcosa nella sua lingua, che vuole dire “Mi sento amata da Te”. Sotto, le foto del suo bambino e il suo marito, con il tag alla Mamma. Mamma gioco a calcio. Mamma faccio la spesa. Ecco, mamma, sono al mare. Mamma è qui con me, guadagna bene e lavora. Stasera ci mangiamo la mortadella e il pane di Mario, ma questa è un’altra storia.
Passiamo un sacco di ore assieme stanotte, dobbiamo aspettare gli ospiti che arriveranno tardissimo – le case mi piace sistemarle a me, col cencio e i fiori, con le candele accese e Bach nello stereo. Due o tre ore a fare le faccende, perbenino, perchè la casa mi deve assomigliare quando ci entrano le persone, perchè io assomiglio alle persone che ci entrano.
Guardiamo le foto dei figli. Anche la mia. Nessuno parla la lingua dell’altro, ma ci capiamo. Mi raccontano storie, gli racconto storie. Strano che la felicità è tanto più grande quanto è legata a grandi dolori.
Si fanno strane cose, per amore.