E’ un difetto di categoria il mio: tutti quelli che lavorano con immobili – a farli, a ornarli o a venderli – hanno delle fobie riguardo l’arredamento scelto dai proprietari, patologie che si estendono alla propria casa e che si risolvono solo in maniera tragica, quasi stoica, ovvero con l’eliminazione compulsiva di tutti gli oggetti (ninnoli, boiate, cacate) che è possibile appoggiare su un mobile. Se potessimo, inventeremmo i mobili su cuscinetti d’aria, per evitare il contatto fra i piedini ed il terreno. Ci sono anche quelli che invece hanno talmente terrore del cattivo stile che si gettano sul kitch pieno. Altri scelgono il maledetto bianco e arredano simulacri. Tutti, insomma, siamo straziati da una serie innumerevole di visite in case dove mogli impazzite hanno deciso di cimentarsi con il gioco più ganzo del mondo: arredare casa.
Ora, finchè si tratta di casette da qualche migliaio di euro al mese, tutto passa. Quando però si comincia a ragionare di proprietà che vanno bene sopra i trentamila a settimana, uno si aspetterebbe di non trovare quelle cose, chissà che le produce, a guisa di campanello, di veliero, di fiocchini e di quadretti appesi male, che la signorina Felicita di Gozzano amava con ardore. E uno si sbaglierebbe. Testate del letto in finto ferro battuto, arzigogolate come un intestino ma vuote dentro, i soprammobili tutti, le lampade da poco, i tappetini dei bagni con le trine, i centrini (oddio, i centrini), i centrotavola, i fiori e le frutte finte, le stanze in stile, le case in stile, le cucine di legno scuro, le palle di vetro colorate, i lampadari della Murrina o Kartell, i copridivani, i copriqualunquecosa (ma allora perchè l’hai comprata?), le madonne dovunque, sono solo alcune delle mie dannazioni.
La mia pace arriva quando mi tocca in sorte una villa arredata da uomini, capaci di sopportare gli spazi senza doverli riempire di boiate.
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