Vivendo con un americano naturalizzato inglese, linguorepellente ad ogni altro linguaggio che non sia anglosassone ma convinto di sapere parlare l’italiano (storici gli auguri di Pasqua al benzinaio “Porco Squalo!”), mi imbatto spesso in odiose – ma fondate – critiche sul come gli italiani storpino una lingua meravigliosa, la nostra, per creare nomi ad effetto, che non solo non vogliono dire nulla, ma diventano ridicoli, quasi grotteschi. Il “lap and show” di Montecatini, ad esempio, suona come un “slecca e mostra” che mantiene poco del suo intento erotico. Il “concept space” è molto poco concept e assai capannone industriale quando dentro contiene troccioli in vendita o in affitto. Il “brain storming” rischia di diventare una farsa quando a tuonare sono cervelli di poco conto – e tutti insieme, perbacco. Io, poi, cerco di non matcharmi a nulla, piuttosto mi piace trovare scarpe per il mio piede. E la “location”? Cos’hanno “proprietà”, “luogo”, “spazio”, “villa per eventi” che non va? “Da Irene, Hair Make Up & Professional”: e un bel “& The Weathers” non ce lo vogliamo mettere? Forse è il caso che anche io mi aggiorni mediante un intensive course, o che mi spari un brunch il prossimo sunday, così poi posso arrecarmi al concept space di montecatini ad affittà du vasi.
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