Se qualcuno mi chiede a fine anno cosa è successo di nuovo, gli dico che ho perso molta della mia paura ed iniziato a correre – qualche chilometro, a gambe divaricate per non strusciare le cosce, con i calzini rosa rinforzati, uno spettacolo grottesco. Non ho fiato, forse per le sigarette o forse perché non sono fatta per lo sport. Corro e penso ai baci, come se avessi sedici anni: mi abbraccerò con qualcuno, di nuovo, sul prato, sperando che non duri? Oh, il sadismo mortifero dei rapporti a lunga gittata, le aspettative tradite, l’affaccendarsi, la vita straziata dall’assistenza a titolo gratuito che una povera donna deve fornire in questo secolo strambo per fare parte della tribù – sei stata brava anche tu? No, non per me. Non per me la spesa fatta in due, uno ai detersivi e una al banco formaggi, ma la montagna scalata sotto lo sguardo benevolo di un amico innamorato, o la televisione per quattro giorni con il caffè americano, i crackers piccanti ed il turbante a contenere i capelli annodati, poi ci vediamo presto, quando?, presto. Sono diventata una teppa, vivo nell’anticamera della solitudine eterna, con troppe abitudini, cani, tazze e autoabbronzante.
La paura, da quando non ho più nulla, se n’è andata e spero che non torni. Non possiedo il mio tempo libero, dedicato ad una creatura cui guardo come i fiori al sole ed un’altra che è una punizione adeguata ad una vita precedente di omicidio e cannibalismo. Non ho una macchina, non ho una casa, ho tre pantaloni e due magliette, un paio di stivali lisi e un giacchettino con le maniche che si allungano, così sta anche legato in vita come una gonnellina. Non posso prendere uno zaino e andare a camminare in China, ancora, ma il 2026 non è così lontano.
Ho sognato questo ragazzo, elegante con la sua camicia aperta e la pancia tonda e soda, che mi piace tanto. Avevamo le mani intrecciate dietro la (mia) schiena, il salotto era pieno di persone e nessuno sapeva: era una sensazione così bella che mi porto il ricordo addosso da due giorni. Sono ridicola? Forse sono ridicola e grassa. Poi mi sono fermata sulle scale di pietra a fare micio a quello con gli occhi azzurri che mi chiama morina, ma non era un sogno, mi pare. Appena si è alzato sono corsa via, sia mai che si passi da una tenzone a una cena, poi un’altra, poi la reversibilità e la morte.
Posso rimanere qui, appiccicata alla tastiera, senza nessuna competenza che non sia lavorativa, in attesa di quelli che mi somigliano? Penso di si, fino a che la vita non venga a riscuotere conti seri di quelli che ti scavano l’intestino solo a pensarci, fino a che la salute e la musica ci accompagnino – o almeno, lo spero.