(Laura Dekker by Valerie Kuypers / AFP / Getty)
In breve: la ragazzina Laura Dekker, nata su una barca, figlia talentuosa di velisti, vuole fare a tredici anni il giro del mondo in barca, “learn about the world and to live freely.” Il tribunale ha appena tolto (per due mesi) la patria potesta’ ai genitori che le hanno dato il permesso. Le motivazioni sono, dette alla buona, che la difficolta’ (oggettiva) dell’impresa potrebbero provocare un crollo nervoso nella bimba, che potrebbe perdersi importanti nozioni di socializzazione con i coetanei – due anni sono molti e che, forse, ci potrebbe anche lasciare la pelle.
Mi calo subito nell’unica testa in cui posso provare a stare: non quella della bimba, che e’ troppo coraggiosa e giovane, non quella del papa’, che e’ sicuramente un uomo – mi sono informata. Vado invece a fare una spedizione nella testa di mamma Dekker.
Mia figlia mi informa che vuole partire per due anni in mare e immediatamente mi appaiono visioni di tormente, squali assassini, balene inferocite, onde alte tenta metri e il mio uccellino in preda alla furia degli elementi. Io lontana. Un brivido di terrore e una nuova ruga appaiono sul mio viso. Poi penso alla mia bambina, in citta’, a quattordici anni, il venerdi’ sera con i suoi amici che annoiati, per 50 euro, fanno un carico di anfetamine e vodka al melone, si mettono in macchina all’una di notte e me la portano alla discoteca nel parco, dove sovente strambi adulti rovesciano liquidi ipnotici nei bicchieri dei ragazzi e poi se li portano via, per spiegare loro nei fatti che il mondo e’ davvero crudele. Se tutto va bene arriva la cicogna, se tutto va malissimo arriva la polizia scientifica a fare i rilievi. Uno pari.
Allora mi concentro sul pericolo di collasso emotivo: paura dell’ignoto? Noia? Senso di inadeguatezza? Basta entrare da studente in una seconda media qualunque per provare le stesse sensazioni. E quelli sono tre anni. Due pari.
E ora la piu’ grande delle mie paure: che mia figlia abbia dieci talenti e ne usi due. Che si ghettizzi in un ambiente dove si sente sicura pur di non sperimentare, di non farsi prendere in giro. Terrore di creare, con la mia insicurezza e un amore che sovrasta ogni altro, una creatura fragile e mamma dipendente, che scelga di non vivere pur di farmi stare tranquilla. Ma fra l’ansia di una macchina che deve rientrare alle sei del mattino da un luogo di assordamento e quella di uno scricciolo che ce la mette tutta per governare il mondo, io preferisco la seconda, sentendomi male al solo pensiero che un giorno succeda davvero.
Ora, il mio ultimo pensiero va ad un giudice che si intromette fra me e mia figlia ogni volta che non ho provato a negarle il cibo, non l’ho rinchiusa in un sotterraneo e fatta violentare, non le ho tagliato le dita con un coltello da cucina, e di nuovo, immediatamente, mi appaiono visioni di tormente, squali assassini, balene inferocite …