PARTE I 2005, Maggio, una sera. Una sera come tante mi portano a sgambare in una discoteca per vedere se mi ripiglio dall’ultimo trauma amoroso. Fatto sta che la balera ci regala musiche straordinarie (Missy Elliot, qualcosa sulla possibilita’ di lavorarci sopra) e l’intento iniziale di acchiappare maschi si evolve in una sessione spasmodica di danza. Salto come un animale punto da un serpente, canto a squarciagola e le amiche fanno da cornice ad una serata piacevole, mai dimenticata. Arriva lui, alto moro e con occhi verdi, cento denti e un profumo intoxicating; si mette a ballare con me, che sono all’ottavo dan del sudore sotto l’ascella. Estasiata. Di piu’. Rapita nell’estasi d’amor. Insiste affinche’ mi segni il suo numero su cellulare, lo infilo sotto la C di Como, con il nome Cecco. La serata non finisce a tarallucci e vino ma con la promessa di passare un po’ di tempo assieme. E usciamo. Ce ne andiamo al Montecarla, a Firenze, e su quei divanetti dopo pochi minuti sono chiare due cose: la prima e’ che il fanciullo, quattro anni piu’ giovane della sottoscritta, e’ uno schianto. La seconda e’ che il fanciullo non ha molti argomenti intellettuali a suo favore. Decido di fare leva sulla prima dimenticando la seconda, e si sta a baciarsi, letteralmente, per ore – fino a che non ci buttano fuori. Spendiamo dieci parole in tutta la sera, sospiri endorfinici servono a comunicare, la musica attorno dice tutto quello che non avremmo da dirci. Ci salutiamo con la promessa di rivederci sapendo benissimo che non succedera’.
PARTE II 2005, Luglio, una sera. Una sera come tante mi trovo a Vellano, quando mio cugino, spinto dal sacro fuoco di pimp, mi dice che lui, quel suo amico e molti altri vanno al bar Qualcosa di Firenze, e’ una bella compagnia, dice, e ci sarebbe anche Francesco da invitare, e’ quello che gli piaci, ti ricordi? Anzi, perche’ non gli mandi un sms e gli dici che ci vediamo li’ alle otto? Ti devo mandare il numero? No, tranquillo, li serbo tutti, dico. Mando un messaggio a Francesco allora, detto Cecco, per invitarlo, mi risponde in due secondi con molti punti esclamativi – il che mi irrita, perche’ la punteggiatura esagerata mi mette l’ansia ed e’ indice di testa poco fina, ma insomma. Parto da Vellano, felice come un’otaria, guido per un’ora e mezzo e me ne arrivo a Firenze, che di sera e’ ancora piu’ bella. Il cellulare fa le bizze, non capisco perche’, ma tanto mi ricordo dove e’ il posto.
PARTE III In fila ad aspettarmi al Bar Qualcosa ci sono: mio cugino, la sua fidanzata, il suo amico quello buffo, Cecco della discoteca con cui ho pomiciato e a cui, erroneamente, ho mandato l’sms di invito, e Cecco amico del cugino, cui non ho mandato proprio nulla ma cui il mio cugino in persona, colto da spirito quasi imprenditoriale, ha mandato dispaccio tante le volte me ne fossi dimenticata. Lo sguardo beffardo di ogni elemento dell’insieme X, che per comodita’ chiameremo Cataclisma, e’ ugualmente intenso e schifato, gli elementi sono tutti equidistanti, direi che si tratta di un insieme omogeneo. E’ un peccato che io non possa trovare la formula matematica dell’autodistruzione, davvero. Scendo e Cecco-della-pomiciata urla bellissima, come mai non mi hai mai piu’ chiamato dopo quella sera al Montecarla? Indosso la coltre di pecora, sono la vittima sacrificale stasera, e mi faccio immolare – succedera’. Che idiota. Che ricordi meravigliosi.
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