Febbraio 2005

Trovate le canzoni: pubblicità dove la macchina si trasforma in un robot e balla, Jacques your body (makes me sweat) by Les Rythmes Digitales. E la cover di Tutu, checcacchio, era di Cassandra Wilson. Totale persone interpellate: circa 50. Ora mi manca quella della Jeep Cherokee, so che è Dimitri qualcuno, ma quella canzone non si trova da nessuna parte in Italia. E via.

Arrecandomi al mercato della vita, tendevo in genere a scegliere frutti a buon mercato. Per intenderci, qui ci piace il contenuto, non la forma, sappiamo che i frutti più buoni sono quelli un pò impataccati, non quelle melacce cerate fosforescenti e tutte uguali. Ma a forza di cercare solo contenuto si fa lo stesso errore di quelli che no a prescindere, si rischia di perdersi qualcosa insomma. Ma insomma, alle occasioni, a quelli ammaccati, a quelli un pò andati, mi ci sono abituata. Poi non so bene quand’è successo, ho cominciato a pensare, ma a me che mi manca, perchè, io una bella stesa di kiwi e spiedini di avocado importati, che per caso non li posso avere? Badalì: fatto.

Accadono cose strane ultimamente, mi ritrovo a maneggiare situazioni che non credevo nemmeno auspicabili, nemmeno pensabili insomma. Questa sensazione di felicità totale, appagata, a partire dal primo battere di ciglia la mattina, è così piena da fare quasi paura. L’altro giorno pensavo ai piccoli traguardi. E’ tutto lì. E’ come in montagna, se sulla parete in arrampicata guardi in su ti viene male. Bisogna guardare veloci, per sapere se stanno cadendo massi. Poi invece si guarda a diritto, le proprie mani che si abbrancano ai chiodi, alla cordata, ai massi, guardarsi i piedi, respirare, non fare passi troppo lunghi per non cascare di sotto o finire le forze. Fermarsi, ai masi, ma non troppo a lungo. Non eccedere con le proprie risorse energetiche, ma un vin broulè non si nega a nessuno. Insomma, si muore perchè si vive in fondo. Poi si riparte. Fino in cima, e mentre sei lì lì’ pensi “ce la sto per fare, ce la sto per fare”, e gli ultimi metri sono i più difficili, proprio per la smania. Piano, andare piano. E poi in cima. E in cima accorgersi che sì, ce l’abbiamo definitivamente fatta, e guarda quante altre montagne, quante altre cime. Riposarsi, premiarsi e ripartire. Un risultato in saccoccia. Esserne felici, esserne terribilmente soddisfatti, e orgogliosi: sentirsi vivi non è roba da tutti i giorni, non è come essere vivi, è assai di più.

E’ severamente vietato fare l’amore in ascensore – se no poi si fuma nel pianerottolo – mangiare cibi con grasso, misurare più di dodici centimetri di perineo e pensare male dei salutisti, è altresì proibito farsi cogliere dalla peccaminosa sindrome di stendhal, o mangiare i bomboloncini alla crema, usare il burro per varie e eventuali, bere, bere troppo, fumare, fumare troppo, non fare jogging, non salutare con l’inchino, non comprare macchine della fiat se no come si fa a fare finta che vada tutto bene, vietato non avere sedici giornali e i capelli finti, vietato fare le leggi sui divertimenti della vita se non si è almeno a un passo dalla morte, vietato ballare e sudare, vietato pomiciare in macchina, vietato indulgere nei piaceri di qualunque risma. In questo blog la sala fumatori è il doppio di quell’altra: aspiro io.

Volevo dire che è stato quasi un’ispirazione, che la tua posizione così lontana dalla mia, antitetica, quasi quasi mi ha fatto saltare le orecchie dalla testa, ma finchè saremo capaci di ascoltare qualcosa che ti fa venire voglia di uccidere senza farlo, allora dimostreremo un’altra volta il distacco fra l’uomo e la bestia. Tu qui diresti che gli animali sono più intelligenti dell’uomo, e io ti voglio credere, quando ne sentirò due parlare al telefono o inventarsi un mezzo di locomozione. Volevo dire che ho il diritto di andare in fondo a ogni argomento – situazione vissuta e vivibile, che sia oggettivamente bene, che sia oggettivamente male, non me ne è mai fregato niente. A nessuno frega niente, sono solo cucce per il quieto vivere, occasioni per non farsi domande più approfondite. E’ più facile chiedersi se sia meglio mangiare la carne oppure no, piuttosto che chiedersi perchè sia necessario mangiare e dormire, se sia possibile inventare un processo per cui non c’è più bisogno di fare nè l’uno nè l’altro, per avere più tempo, più vita, da spendere da svegli. Ora lascio la concione, perchè nonna sta russando qui accanto e mi distrae come un valzer, io mi devo fare il bagno e poi scappare a Vellano, ho voglia di sole visto dall’angolo di un caminetto. A bien tot.

Un pò bitter, un pò di pensieri, quando ti tornano in mente le cose anche quelle che non volevi. Ma putroppo non è che c’è una diga, dove i cattivi pensieri vengono filtrati e quelli piacevoli passano. Si, oggi è uno di quei giorni. Smettete di parlarmi, smettete vi prego di guardarmi, di osservare quello che sto facendo. Voglio buio, lasciatemi in pace. Anzi no, riprenditi. Pensiamo a qualcosa di bello. Ecco, Londra. Dov’è quell’immagine, quella prima di andare a vedere quello spettacolo. Eccola, facciamola a palla. Leviamo Bach, è overwhelming.

No, che è questa roba: condividere la playlist con la mia sorellina qualche volta è buffo. Capita Rachmaninov e a seguire Avril Lavigne. Via, via, cambio. Yo yo ma. Cello suite. Risiamo a Bach, perserverare diabloicum. B come Bela Flek. Vai. Buon umore e bravi suonatori. Nonnina, ti adoro, ma cazzo stai zitta un minuto, ti supplico. Niente, ha ripreso il telefono, ochei, quando è merda è merda. Non trova il numero. Cerchiamo il numero . Riabbassiamo la musica. Aspettiamo la fine della telefonata, si parlerà di piaghe da decubito, ma mentre scrivevo ancora non lo sapevo. Corri, pescane un’altra, immagine felice dico. Aperitivo. Pensavo che gli uomini escono, le donne invece hanno la serata libera. Buffo. Insomma, non così buffo, ma cambierà, tempo tre o quattro generazioni. La giornata è stata scandita da lettere. Lettere su lettere, foto, scoperte, confidenze, condivisioni, e pensare che strano. Domani mattina vado a sciare, sarà sole, sarà concentrazione sulla riunione di domani pomeriggio. saranno le sette e mezzo, sarà maglio andare in cucina a affettare i pomodori. Forza ragazza.

Sturdust fa da tappeto alle immagini di ieri mattina, con quel sole e quegli sci ai piedi. Qualcuno dirà che sono impazzita, e forse è vero, ma sciare è meditazione pura, e si vede da come uno scia – se scia, ovvio, da come uno mangia se mangia, da come cammina se sta camminando, e così all’infinito – di che pasta è fatto. Io sono velocissima, scomposta, irresponsabile e piglio dei crepenti tremendi. Quando vedo la gobba di una discesa nera provo piacere a spingermi ancora prima che la voragine inizi a tutta velocità, per entrare con un salto, più o meno consapevole, e incrementare la velocità di secondo in secondo, fino a che diventa quasi incontrollabile. Amo la baita, il vin broulè, soffermarmi anche per un’ora se l’atmosfera è calda, e dimenticarmi all’improvviso della gioia del silenzio in discesa con le gote che bruciano di freddo e di sole, per la più caciarona compagnia di gente che non conosco, ma che ha la faccia rossa e felice. La gente, che invenzione straordinaria. Pensa che noia non ci fosse. Pensa avere tutti gli impianti per te e mai la fila, mai nessuno che ti taglia la pista o che ti viene addosso, mai nessuna mamma che urla Gionataaaaaa vieni quiiiii mettiti il cappellinoooooo a forma di alabardaaaa, mai nessuno che ti frega la fetta di torta, l’ultima, alla nutella, mai nessuno che ti sorpassa mandandoti a ramengo, mai nessuno che ti fa le serpentine davanti (bravo, via, bravissimo, ma come farai a essere così bravo te?!). L’ipotesi di un mondo perfetto è agghiacciante. Come quelli che abboccano le discese cercando di calcolare la pendenza precisa e la velocità media raggiungibile alla tangente della gobba. Brrrrr.

Si, dovevi essere tu, quella cosa che non mi aspettavo. Quella cosa per cui mi piace interrompere un libro, e che sarà mai un libro se messo a confronto con qualcuno, qualcuno di vivente. Nonna sta bestemmiando, interacalando un “non fanno un cazzo nulla” con una cantata, stiamo ascoltando unforgettable. Entra su “that’s why darling, it’s incredible, that someone so unforgettable”, e qui s’è già persa. Non sa l’inglese, ma ripete i suoni. Di là gira la lavastoviglie, no ever before, has someone been more. Domattina sarà un altro giorno. E sarà conquistato, un giorno meritato, e forse questi aggiustano anche la caldaia. Sinatra è Sinatra, meglio di Cole alla fine. Sì, sì. Nonna ne conviene. Lei preferisce Sting.

“Caldo da svenire, caldo che mi fa stare statica su una sedia come una pera con una freccia nel mezzo, una macchina senza ruote, ed è proprio così che mi sento. Motori surriscaldati e avaria dell’animo, mi ci vuole acqua, il sangue fa le bolle, la testa mi ballonzola come se avessi l’alzheimer. Stanotte ho risognato un sogno, quando stavo dentro un’astronave verde, in mezzo al verde, precipitata su qualche montagna e arrivata in campagna per caso cioè per me”

A noi innamorati di natura, anche quando non c’è nessun oggetto d’amore, o quando ce ne sono troppi e poi nessuno per punizione. A noi che abbiamo tutto da avere, a noi mele da cogliere, a noi mele di una crostata del giorno dopo, ancora più buona. A noi che vorremmo cene a lume di candela ogni sera e che va bene anche la festa delgi innamorati pur di festeggiare, a noi che si festeggia, eccome, ci vuole coraggio. A noi che sappiamo che la felicità è un obbligo morale, e che se un dio c’è vuole che si sia allegri, per rimettere i peccati ci faranno uno sconto comitiva. A noi, peccatori professionisti, ma poi peccatori di che? Un bacio è un peccato? Ma quando mai. E fare l’amore nei campi è un peccato? Macchè, bisogna, bisogna. Se vecchiaia potesse, se gioventù sapesse. A noi, poeti, ubriaconi e malfidati, a noi che si promette quello che non si saprà fare solo per leggere un pò di gioia negli occhi degli altri. A noi che il cinismo lo combattiamo in prima linea, perchè demolire è facile, costruire no. A noi che oggi pensiamo ad almeno sei persone diverse, e con tutte bisognerebbe stasera scambiarsi rose, affetto e occhiate, noi che si sa fare come l’ultima notte della propria vita. Noi, che siamo ariette di Puccini, noi ridicoli, noi caricature di quelli normali, ma che normali diventeremo quando siamo un pò più grandi, a noi che stamattina avevamo un goccino di sale nel cuor, e che abbiamo fatto finta di niente. A noi, anche a quelli diversi da noi, buona giornata, e che sia d’amor composta.

Stamattina era tutto d’oro. La via, con il ghiaccio e il sole rosso che ci si rifrangeva sopra. La carreggiata, con fuochi sparpagliati, che finivano in oro. Il cielo, sotto il rosso e fucsia, vicino ai colli di Montecatini Alto, era tutto d’oro. Il riflesso del sole dentro la macchina, e sui miei occhiali, e sullo specchietto. E su una filata di plastica traforata, al solito. Mi ha fatto impressione, ad un certo punto l’ho proprio detto ad alta voce: è tutto d’oro. Vellano, alle spalle, era più rossa che dorata, e blue. Ci sono persone che pensano che le cose debbano essere per forza del colore dell’abecedario, e anche io faccio fatica.

25 febbraio 2005
Scotta. Scotta al punto che forse è ridicolo, sì, lo deve essere. Chiamata a suonare, con pezzi da novanta, mi ritrovo con una chitarra senza amplificazione e senza microfono a sostenere la serata da sola. Perchè le stelle non credevano, non sapevano, io non ero all’altezza circa, sai, gli standard vanno fatti esattamente come nel cd. Vedi, se Cole Porter si alza dal palco e se ne va, sono le chiappe di Cole Porter che vedi scendere, ma io i vostri nomi non li ho ancora visti pronunciare da chi commosso ascolta la vostra musica. Svizzeri del cazzo, ecco cosa siete. La gente è stata lì ad ascoltare, tanta gente. Io, invece, mi sono vergognata.

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