Oggi ho fatto quel gioco allo specchio in cui ti guardi come saresti migliore se quello fosse più su, quell’altro più giù, qualcosa più corto e altro allungato. Ho passato ore nell’acqua, e quindi in bagno, e quindi allo specchio. Stamattina, per iniziare, mentre le piccole dormivano, per eliminare la peluria. Non mi piace, per non dire che mi fa schifo, immergermi nel bagno e pensare di dovere fare qualcosa di utile allo stesso tempo: deve essere il tempo dell’ammollo, della mollezza, del quasi buio, dell’acqua che fa rumore di spelonca. Quindi le due operazioni vanno fatte in separata sede, una da seduta in doccia e l’altra navigando nella vasca.
Con la faccia coperta di vapore e lo specchio come un ricordo notturno mi guardo bene e ho piccoli feticci per sopportare il volto che cambia nel tempo, amarlo, senza concentrarmi sul come era prima ma piuttosto su come evolve, cresce, assieme a me. E’ l’unica via per non impazzire della malattia che chiamiamo vecchiaia, che se fisicamente non mi turba affatto, mi atterrisce quando penso agli impeti, alle urgenze che passeranno in secondo piano. Quindi assecondo la prima piccola procedura: metto i capelli nel turbante-asciugamano bianco, pettino le sopracciglia e mi metto un lucidalabbra pastoso. Spargo la cremina, una a caso, e stendo il mascara bene, per non rimanere con occhi ebeti mentre mi asciugo i capelli.
Faccio in modo di non trovarmi mai in una posizione sfavorevole, di non essere io la prima causa della mia infelicità. Accendo le luci piccole, spengo le grandi: nessuno verrà ad un centimetro dal mio volto con una torcia a vedere se ho imperfezioni, perchè dovrei farlo io? Iniziano i profumi e le letture, il secondo feticcio. Questo limbo, la gravidanza artificiale in cui mi trovo, la pancia-bagno calorosa e silenziosa, dove nemmeno chi amo può (finalmente) entrare, mi fanno vorace di riviste, libri regalo, ricette, tutto. Mi stordisco, leggo finchè non mi viene la nausea, e quando mi annoio a morte finalmente passo al trucco: leggero, veloce, cui segue l’apertura dello scrigno con gli anelli e gli orecchini giganti. Scelgo e metto. Mi vesto. Terzo feticcio: non ci si asciugano i capelli in mutande, ma mi vesto di tutto punto, anche se poi non esco, di modo che quando l’ultimo pelo sarà asciutto, sarò rinata. Morta e rinata. Con i tacchi. Esco dal bagno: cling, cling, cling, gli stiletto risuonano in corridoio.
Sono uscita alle dieci circa, come un canovaccio da una lavatrice: una resurrezione in acqua. Le orecchie ovattate e il caldo di un bagno bollito mi hanno tenuto serena, pacata, per molto. Alle quattro la piccola ha finito di ballare le sue musichine, e tutta sudata mi ha chiesto di fare il bagno. Noi facciamo il bagno assieme, è il nostro rito. Allora ho ricominciato: tutto. Stasera sono rallentata, ma felice. L’acqua del bagno, purtroppo, è l’unica in cui posso nuotare da molto tempo – io lavoro per fare andare gli altri in vacanza. Oggi sono stata al mio mare per due volte: deve essere ferragosto.
ig
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