Parlando con amici stranieri mi viene sempre spiegato a un certo punto della conversazione perchè gli italiani sono fascisti, approssimativi e l’Italia è sporca, corrotta, travolta dalla mafia e dalla camorra. La discussione viene sempre preceduta da un preambolo preparatorio, gentile, in cui si loda Roma, la stramberia di Venezia e l’immodesta bellezza di Firenze – how wonderful. Si passa poi a chi le abita e poi, ahinoi, a tutti gli italiani, popolo di cretini – mi fanno capire – messi qui da un nucleo operativo extraterrestre, impiantati con rigetto da organi superiori. Loro, invece, abitano i luoghi in cui risiedono per merito puro, contribuendo ognuno allo sviluppo della cosa pubblica. Sarà per questo che esiste Detroit e per qualche altro motivo che c’è pure Brolio o Filicudi, ma non me la prenderò con i miei amici perchè rischio di litigare prima che arrivino qui a sostare in questo ignobile Paese, a volte anche per mesi di fila.
Il punto è che parlare di un popolo con cognizione di causa richiede grande conoscenza e molta umiltà, altrimenti si casca nell’errore francese di ritenere che chiunque stia fuori dalla propria cittadina, sia una mérde. Sbilanciarsi sul dove si sta, il luogo cui si appartiene, è un’operazione che coinvolge troppi sensi e ricordi, troppo affetto o odio, e che rende ognuno di noi cieco rispetto alla verità su altri orizzonti, altri scenari, altri popoli. C’è da pigliarli così come sono e cercare di farsene una ragione. C’è anche da capire che cercare di spiegare l’Italia è come parlare di bikini dopo i settantanni.
Detto questo, ognuno si appoggia a delle immagini per richiamare il proprio luogo di appartenenza alla memoria, figure che sono più una proiezione notturna applicata alla vita che il contrario. Chi viene dai monti del Tirolo, ad esempio, dopo qualche anno di lontananza da casa soffrirà per la mancanza di silenzio e verde, quando magari abitava vicino a una centrale idroelettrica. I milanesi impazziscono lontano dalla madunina perchè l’aperitivo al “sud” è così squallido da fare venire loro la depressione; nota bene, non che i milanesi ci vadano davvero all’happy hour, ma hanno bisogno di sapere che c’è, da qualche parte, un luogo dove non saranno ammessi. I napoletani soffrono lo spacco-pranzo lontano dal mare, da morire, e non capiscono perchè la gente dica che in Toscana ci sono le verdure buone o che la gente sia simpatica. (Effettivamente c’hanno ragione.)
A me, la Toscana, la mia culla e luogo di partenza e ritorno, ricordava Bertolucci con l’atmosfera (credevo) magica del film Io Ballo da Sola, orrida traduzione (al solito) di Stealing Beauty. Uso il passato perchè la scorsa settimana ho avuto la grande idea di comprare il Dvd del film che mi ha fatto scegliere il lavoro che faccio nel lontano 1996, per rivederlo dopo dodici anni. Sarebbe bastata un’occhiata non dico approfondita, ma imparziale, ai sottotitoli pubblicitari della cover per un attacco di vomito improvviso: “L’arte, la musica, l’amore: in vacanza sulle dolci colline senesi alla scoperta della vita!”. A parte il punto esclamativo (mi provoca ansia) alla fine della frase più zibilla di luoghi comuni che io abbia mai letto in vita mia, a parte che prova a stare su una dolce collina senese il 10 di agosto: se non muori punto con dolore da un calabrone di un chilo, ti viene un’insolazione del nono grado. A parte che l’unica arte nel film sono le statue di coccio che giacciono in giardino, e che la vita, qui, si scopre come il colera o una lettera di contributi non versati, il film è una cosa inguardabile da quant’è brutto.
L’atmosfera rarefatta toscana che giace nella testa degli inglesi, ma anche di Bertolucci, non esiste in realtà, anche se da almeno ventanni proviamo a nascondere questa cosa ai popoli di lingua anglosassone, instancabili affittatori e compratori di case dalle nostre parti. Esistono invece i baretti dove un gotto di vino costa un euro e l’aspirapolvere non è mai arrivato, gli infissi sono di metallo e le seggiole di plastica: i toscani, pur di non spendere in arredamenti, si metterebbero a sedere sui cani randagi. Lo zio francese che nel film urla all’orrore di Mac Donald è una macchietta, una figura così scontata che viene voglia di votarlo alle prossime elezioni. La buona Sandrelli, per la quale nutro un’infinita affezione e non so nemmeno perchè, recita sè stessa, e in qualche modo mi risolleva l’animo per un attimo. Rachel Weisz, prima anche lei di diventare sedici chili e assumere uno stylist, Dio se li pigli tutti, è qui figura di bellezza titanica, ma quell’inquadratura alla Paolina Bonaparte mi ha fatto cascare le braccia in terra, plop, plop.
Mi sono dovuta affidare alla colonna sonora dei Cocteau Twins per ripigliare un pò di fiato fra la sequenza su una festa un villa col Niccolò di turno – casa stimabile attorno agli otto milioni per la vendita e, probabilmente, ai venticinque settimanali per l’affitto, commissioni incluse – e le riprese impeccabili (ma così scontate da battere la testa nel muro) di una Toscana patinata che non esiste, per fortuna, e che continua imperterrita a incantare e deludere americani dalla fine della seconda guerra mondiale.
Aprire i files del passato, si dice sempre, non conviene a nessuno, per non turbare l’equilibrio raggiunto dentro si sè per fare quadrare cerchi, immagazzinare figure, rimettere a posto dolori e persino gioie. Io, oggi, non ballo per nulla da sola, anzi, sono io che sto stealing beauty, as much as i can. Not from Tuscany though.