Kapoom!

Non bevo alcolici quando sono triste o mi fa male qualcosa, perche’ mi passa la voglia. Me lo spiego in un modo che mi gratifica, ma non e’ detto che sia vero: siccome ho paura di tutto quello che altera le emozioni – divertimento eccessivo, anti depressivi, ansiolitici, eccetera – non voglio trasformare il mio adorato compagno di vita in un tappabuchi esistenziali. Una volta sola ho trasgredito, complice la fine della mia storia d’amore, e ho bevuto due rum: l’effetto e’ stato devastante. Ridicolo. Non succedera’ piu’.  Ci pensavo oggi quando ho portato mia figlia a conoscere Babbo Natale a Winter Wonderland in Londra: ogni due metri c’era un chioschetto di vin brule’, che se mi fossi sentita anche solo lievemente depressa avrei attaccato come una volpe le galline. C’e’ stata la fila, il salto sulle ginocchia di Babbo Natale, la fotografia.

Li’, davanti a un Santa Claus di bellissima fattura, alto due metri con una barba finta da almeno duecento euro, al riparo dai fiocchi di neve finta, fra gente felice e canzoncine del Natale di quelle ganze – Let it Snow – e’ finalmente scoppiata la bomba: kapoom!. Ho illuminato a festa con il rossore del mio naso tutta l’Inghilterra, ho iniziato a piangere a singhiozzi cosi’ forti che la ragazza che preparava il maiale alla piastra e’ uscita dal banchetto e mi ha portato una cioccolata. Cosi’ potente che una mamma ha portato via la bambina che si stava angosciando. E’ vero: mi si sono inculati il papa’. Il mio papa’. Il destino e il Natale si sono portati via il mio, di babbo, e oggi ho provato un dolore intenso, liquido, da infarto, per la prima volta. Ho a stento trattenuto il vomito, solo perche’ Cecilia stava per finire la lista di cose da ottenere presso il Babbo Natale, che aveva un accento cockney da paura, e non la volevo turbare.

Li’, al parchetto davanti a casa della Regina, fra le mele candite e i Prezzels, la cioccolata col Baileys e i lecca lecca di dimensioni giganti, ho perso finalmente l’aplomb e ho aperto le dighe, senza ritegno. Ho pianto alle patatine fritte. Agli scivoli. Al baretto dell’acqua gassata. Allo spettacolo del circo degli acrobati. Sulla via del ritorno. Nella Tube. Per le scale. Al gabinetto. Ho pianto e piango come una bambina, perche’ non ho piu’ la mia allegra famiglia disfunzionale, con la mamma che vuole cantare e il babbo che vuole rinascere negro.

Ora fatevi sotto consolatori professionisti: sono da ospedale psichiatrico. Era ora.

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