Ventanni e spiccioli sono un’età decente per fare le prime esperienze omosessuali. Chi perde questa opportunità in genere o finisce per sfilare coperto di brillantini al gay pride oppure è appaiato, senza saperlo, con una persona insospettabile che va al gay pride da ormai ventanni. Di nascosto. Con gli amici del circolo della pesca.
Sedici, venti, venticinque sono invece un’età ideale per iniziarsi al consumo di sostanze stupefacenti, avendo cura di non scegliere quelle da persone pettinate. L’assaggio di per sè non ha molta importanza o conseguenza, ma il frequentare ragazzini ossessionati con il cercare il fumo anche nel tabernacolo delle chiese fa capire molte cose. Una di queste è che innalzare totem è fuori luogo.
Trenta, a sua volta, porta il sapore per le relazioni terze: il migliore amico del fidanzato, la cugina della nipote, la figlia dell’amico, tutto va bene, pur di provare cosa si prova ad essere dall’altre parte: basta farsi rovinare infanzie dagli altri, è arrivato il turno di noartri. Purtroppo, assieme alla lieta arietta del tradimento o dell’utilizzo intensivo dell’area genitale, a qualcuno viene anche voglia di comprare la casa.
Quaranta: benvenuta al vero oppio dei popoli, la routine. In nome di orari, scadenze, rate, prestiti, doveri scolastici, pochi piaceri, si entra nella perdizione quella che andrebbe punita con la galera. La morte civile dei sogni di quando eri piccino: siori e siori benvenuti nella fase “cari figli, non mi suicido solo perchè ci siete voi”. Frase che vi sentirete dire, un giorno.
Cinquanta, sessanta, settanta, cento, tutti pari sono: finalmente uomini e donne si rendono conto di essere, a tutti gli effetti, vivi. Inizia la vita per merito, e non perchè ci si è trovati.
In tutto questo tu mi dici che l’ormone omosessuale è decisamente più assatanato di quello etero. Che le donne che vanno a scuola dalle suore sono tutte troie. Che se proprio si deve abbracciare la causa bisogna farlo con i palestinesi. Non so più con chi parlo – eppure sei nella fase buona.