La sua collezione di farfalle.

Juanita de Paola

Quando conobbi Mànfano ero all’apice di un qualcosa che non aveva forma, ma era perfetto: vuoto e contenuto, felicità e rigore; mi si leggeva in faccia, negli occhi questo stato di grazia, e mi attirava di tutto: uomini, donne, bambini, cose buone. Era un momento di grande immaturità salvifica, di ritmi messicani, di chitarra e pianoforte. Suonavo moltissimo e mi dilettavo di mantenermi nelle spese quotidiane solo con i frutti delle serate, facendo finta che l’altro lavoro, quello vero, fosse solo una copertura per Juanita l’artista.

Come tutte le ragazze un pò belline ho avuto più occasioni di quello che meritavo, quindi ho cantato con qualche pezzo da novanta, passato nottate a parlare con un poeta importante, fatto molti giri in moto con un chitarrista di quelli che. Poi, quando mi stavo convicendo di essere una creatura d’Arte è arrivato lui, il Mànfano, e mi ha insegnato una lezione che non ho mai più dimenticato: per quanto uno si sforzi di tenere la bruttezza lontano da sè, quella ti impesta la vita lo stesso – quando le pare.

Era un rinomato pittore, diceva lui, e voleva in tutti i modi che guardassi le sue tele. Vedendomi insospettita  mi invitò al suo atelièr facendomi cenare con la moglie ed i figli, ed io presi questa azione per buona, mi dissi: non ci può essere malizia con tutti i cari intorno. La moglie, mi ricordo, mi guardava intimidita e sommessa, eppure piena di speranza. Seguirono varie cene, senza mai andare allo studio: mi stavo acclimatando, stavo scoprendo quali parole vanno pescate quando si parla con un artista, quali terreni non vanno esplorati, come sembrare intelligente soprattutto.

Dopo qualche mese mi sentii in grado di vedere la collezione – e mi piacque. Erano belle tele, comunicative, violente, un pò grottesche come piace a me. Mi chiese se mi piacevano, e dissi di sì. Mi chiese cosa pensavo di sua moglie, e gli dissi che mi sembrava lei più in gamba di lui. Mi raccontò di come il rapporto fra un uomo e una donna si deteriora, di come lui aveva una musa a semestre con la quale condividere più di un tubetto di pittura, di come la moglie lo sapesse e lo lasciasse fare, per rispetto della sua “arte”, che aveva bisogno di ispirazione. “E’ del tuo pisello che parli, non della tua arte”. Fine.

La differenza fra un grande artista e un entusiasta sta nella maniera diretta con cui il primo riesce a disegnare secca e continua la traiettoria che congiunge  la sua idea, la maniera un cui l’ha espressa e chi ci si imbatte. Il lavoro di sviluppare e proteggere questa linea ideale da tutte le possibili rotture, dalla propria stanchezza, dalle incertezze di poter fare diversamente ( o altro) è un massacro giornaliero che non ha nulla di razionale; è un volere costante, cocciuto, cieco.

Se parliamo di collezioni di farfalle, invece, il grande artista lo riconosci dal frullare degli ormoni che ti provoca nonostante tutto. Mettiamola così:  fosse stato Banksy mi sarei presentata al tavolo della cena nuda con un cappello di piume, ecco.

5 Comments

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