A forza di chiudere i boxini delle pubblicità in alto sulla finestra di facebook ed indicarne la ragione come “è offensivo”, ho confuso l’algoritmo, che mi propone honda civics rosse usate con motore turbolento, t-shirts con le parolacce e concorsi di Lufthansa. Certe volte ci capito sopra per vedere cosa si nasconde dietro l’icona – vogliono che salvi qualche cellula staminale a San Marino, dico io, tanto tanto a Torino, o a Pompei, ma a San Marino no – , le guardo con lo stesso entusiasmo di B, il bambino che a otto anni ha già visto i suoi genitori sposarsi tre volte con persone diverse. Nelle fotografie fatte dalla mia amica che riprende tutte le persone in vista – oggi sono tutti importanti, quelli che fanno i tappini di gomma, quelli che stampano i tondini di cemento – si vede B che batte le manine con gli occhi morti di un varano.
La famiglia non è più quella delle fiabe di quando ce le raccontavano, è invece un tessuto connettore di persone sempre più diverse, più tolleranti nel migliore dei casi, e più inclini ad allontanarsi. Non esistono nemmeno i bei tempi andati, sono solo un trucchetto del nostro cervello affinchè si smetta di dargli il tormento con nuove spinte, nuove pulsioni: l’allarme dovrebbe suonare ogni volta che cerchiamo di ripetere sensazioni piacevoli del passato, dovrebbe bruciarci un dito all’improvviso, così ci ricorderemmo. Che dicevo? Ah. La famiglia. Non prendo la mia ad esempio, perchè peggio di me e dell’inglese credo che abbiano fatto solo Squitieri e la Cardinale, ma in genere è tutto aperto, espanso come gli elettroni negli orbitali, sparso come i bastoncini del Mikado.
Quella che negli anni ottanta era chiamata la famiglia allargata oggi è un esempio di (dolore e) civiltà che convivono assieme, perchè chi ne era parte ieri lo è anche oggi e non può essere altrimenti, ma il cervello si farebbe venire un buco nel mezzo pur di non dovere essere sottoposto a variazione, cambiamento. Nel confronto con la famiglia tradizionale pare quasi che il destino si stia divertendo a promuovere questo nuovo nucleo partecipato, meno violento, incestuoso, infognante dell’altro: Sarah Scazzi docet.
La famiglia che parte all’avventura con la macchina per fermarsi al baracchino del panino la domenica si vede solo nei film di Virzì – e chi ci sale in macchina con una moglie senza avere prenotato? Davanti al tabacchino stasera ce n’era una che aspettava il marito in macchina, aveva una faccia truce, crudele: povera coppia, destinata ad una cena di coppie, soporifera come il farsi i peli con la pinzetta – meno male che c’è il dolore, se no la gente ci schianterebbe per la noia. Entro dentro al circolino per vedere se c’è P, lo volevo salutare. C’è una famiglia invece, anche lì, e sembrano disperati. Possibile che l’unico sistema per amare intensamente le persone sia non doverci passare il sabato sera?
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