L’abitudine fa ingrassare.

juanita

Per evitare di diventare una statistica ho fatto di tutto: sono andata vestita come una escort lettone alla festa della bistecca del circolo arci di Vellano e mi sono presentata in tuta di cotone con un buco nella gamba sinistra al Bulgari Hotel di Milano dove, essendo in compagnia di pezzi da novanta, non mi hanno detto nulla of course.

Ho proseguito col suonare nei locali anche dopo il parto per dimostrare che un figlio non è una lobotomia, e mi sono forzata per guardare i video di you tube che i giovani guardano, per non dover mai dire e questi chi sono. Mi compro il vino da sola, mi compro le cose da sola, cucino di nascosto sempre perchè nessuno mi possa tacciare di essere diventata una quaglia casalinga – e di fare il basilico innaffiandolo con il secchiello per non dargli tanta noia.

Ho chiesto al mio cervello di continuare a imparare i nomi dei cellulari e cerco di alternare ristoranti da 4 euro a persona (dolce incluso) a quelli nelle guide: non voglio che il mio abbigliamento o uno solo dei miei dipartimenti si arrenda ad un clichè, non per il fatto in sè, ma perchè l’abitudine è magnifica, e mi sa impedire di ripartire, di cancellare, di odiare quello che prima amavo e abbracciare quello che non conosco.

Oggi, sul divano, a guardare la maratona Disney con le mie figlie (quella vera e quella ad-honorem, ovvero la mia sorellina piccina), ubriache di video e pisolini, rigonfie di gelati mangiati in salotto, col brodino che avanzava lento e odoroso di basilico in cucina, con la musica della radio e non la mia mi sono sentita libera di essere una statistica (felice).

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