Quando facevo la accompagnatrice per le crociere ci pagavano sessantamilalire per mezza giornata, e si facevano due turni giornalieri: da Livorno a Siena e indietro, poi da Livorno al Chianti e indietro; partenza alle 4:30 del mattino per essere al porto alle sette meno un quarto con una paletta rossa. Ricordo il contare ossessivamente: uno, due, settantadue e di nuovo, come se la gente si potesse polverizzare. Erano gli ordini, dovevamo numerarli di continuo, farli pisciare solo due volte al giorno e sorridere a più non posso per raccattare la mancia, quando il dollaro valeva più di duemila lire. Si portavano circa settanta persone che pagavano dai centoventi ai centottanta dollari a testa e dovevamo intrattenerle, in qualche maniera. Età media: settanta.
Durante il tragitto le domande non cambiavano mai: che pianta è quella, dov’è Camp Derby, perchè qualcuno non aggiusta la Torre di Pisa e avete ancora le lavatrici in Italia. Devo ammettere che l’unica che mi metteva sempre in crisi era la green question, ma per le altre avevo ogni giorno, volta dopo volta, una risposta migliore. Rispondevo da ultimo che Camp Derby era il county in cui Pisa era collocata, e che si estendeva sotto terra fino alla Calabria. Oppure che l’ultimo ingegnere americano che era venuto a provare (di raddrizzare la torre) era stato trucidato dalla mafia, così pure tutti i suoi parenti negli States, e che era un argomento che era bene sorvolare perchè anche gli autisti potevano fare parte della mafia. La voce si deve essere sparsa, perchè la domanda è uscita di repertorio.
Quanto alle lavatrici, spiegavo alle arzille signore del Texas e della Florida, ne avevamo sentito parlare, ma la tecnica più diffusa era quella di bollire i panni nell’acqua della pasta e, quando quest’ultima bolliva, sostituire i maccheroni alle mutande. Poi domandavo loro: ora capisci perchè anche nelle macchine si mette il sale? E loro venivano fulminate dalla rivelazione. Ero una delle guide preferite, sa va sans dir, e non mi sono mai fatta passare una pianta senza rispondere alla domanda cruciale: come si chiama? Nel mio repertorio il favus pendulus, la cataratta, il minchio, il cipresso ricciolo, il magagna-magagna non mancavano mai. Ed era catartico, per me, sentire un intero autobus provare a ripetere “minchio”. Arrivati alla degustazione incontravamo la vera guida, che si trovava a dover rispondere delle mie risposte, del tipo ma è vero che lei bolle i panni in pentola, e questa, chiunque fosse, schiantava a ridere e diceva “avete la Juanita?”. Poi annuiva, che c’entra.
Ad una sola escort, accompagnatrice, veniva dato un intero pullmann pieno di persone. Qualche volte era possibile che ci fosse una persona con problemi di deambulazione sopra, ma qualche volta capitava che ci fossero due, tre persoen in carrozzella. La direzione, per non intaccare i guadagni, ci diceva semplicemente cazzi vostri. Non c’era un accompagnatore extra per ogni carrozzella, quindi si potevano solo spingere a turno, come in un gioco che non era punto divertente. Una di queste volte uno dei miei ospiti, stufo di aspettarmi sotto il sole di agosto, aveva cominciato a spingersi da solo e si era perso. L’avevo trovato dopo ore e tanto maldipancia, che piangeva. Era scozzese, mi guardò negli occhi e mi disse non mi sono mai sentito tanto handicappato e tanto abbandonato. Mi licenziai, se così si può dire di un lavoro dove non sei assicurato, il giorno stesso e aprii la mia prima piccola cooperativa di servizi a breve, Tusca Net, il cui slogan era peggio delle crociere non si può fare. E infatti.
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