Da piccina mi portavano sempre al rosario, il pomeriggio, nella chiesa del santo Francesco, l’unico che piace ai bambini e alla PETA. Di quei pomeriggi ricordo l’atmosfera rarefatta, il silenzio di una preghiera composta che non ho mai trovato nelle domeniche di pellicce e messa in piega, il buon odore del pavimento tirato a lucido e i raggi di luce, che speravo sempre mi colpissero come in un miracolo o una pittura del Caravaggio. Nella mia testa l’unico prodigio possibile in una chiesa era che qualcuno si mettesse a volare, quindi quello mi aspettavo. Non e’ mai successo, e nei miei sucessivi dialoghi con il molto alto, ho evitato di parlarne. Per mantenere la mia fede di bambina vivace ho poi dovuto abbandonare la chiesa, ma questo e’ tutto un altro discorso.
Il rosario e’ fatto, fondamentalmente, di una serie di (palline) preghiere alla Madonna intervallate da (palle piu’ grosse che sono) quelle a Dio. Si termina il tutto con le odi ai santi (oddio, ma sara’ vero? Sara’ un’ulteriore distorsione della mia memoria?) e i misteri dolorosi, gaudiosi e un altro osi che non rircordo. Quando ero piccina mi schiantavo da ridere da sola dando la mia versione dei misteri gaudiosi, dentro di me, per non morire di noia, nel seguente modo: Nel primo mistero gaudioso si celebra Gesu’ vestito con una parrucca verde. Ave Maria … Nel secondo mistero gaudioso si celebra la Madonna che racconta una barzelletta ai discepoli. Ave Maria … Nel terzo mistero gaudioso si celebra la finta partenza di Gesu’ al rally dei Farisei. Ave Maria … E cosi’ via. Gaudiosi lo erano davvero quei pensieri e quei pomeriggi con mamma e la mia sorella Alessandra, che era invece (e lo e’ tuttora) molto riflessiva. Io, difatti, sono rimasta la stessa imbecille di allora.