Ospedale o Hyde Park dentro un cespuglio, di notte?

Juanita de Paola

L’uomo alto e nerboruto mi fa accomodare in uno scantinato grigio, con lucette da cucina e strilla di donne in sottofondo. Mi spoglio, tanto so che va fatto, e mi sdraio, in attesa che il festino inizi. Provo un forte senso di nausea, tanto è vero che devo mordere un pezzo di carta per non vomitare proprio. Il respiro si blocca ad ogni centimetro che la sua mano compie sul mio seno,  ricoperto di slimer. Ogni poco entra qualcuno, come se non esistessi, e si scambiano numeri, date, commenti. La mia visita annuale detta tagliando delle tette è andata bene. In compenso la tiroide è pigra, dicono, va rimessa in sesto. Scusi cosa ha detto? “Ha problemi alla tiroide”.

Chiamo qualcuno, persone a caso, che mi danno più conforto dei dottori, per dire che ho problemi alla tiroide: ma che vuole dire? Mi rispondono tutti che sarò felice, che perderò chili, che finalmente diventerò uno stecchino. Ci sarebbe da incazzarsi se non fossi preoccupata, sarà mica un segno di qualcosaltro, poveri noi ipocondriaci, non c’è limite al pensiero di male. Una cosa è certa: il valore della donna è per sottrazione. E’ cosa certa che una donna diventi realizzata e felice quando il suo corpo assomiglia a quello di un malato terminale. Io non ho niente contro le persone magre e nemmeno contro quelle con i capelli verdi, semplicemente non capisco l’ossesione per le ossa che mi circonda. “Come stai bene? Ma sei dimagrita?” è la frase che mi tormenta da mesi, alla quale rispondo stizzita “assolutamente no”, come se mi avessero chiesto se soffro di aerofagia.

Terminato il palpeggiamento alle tette si passa al piano di sopra del palazzone e a quello di sotto della sottoscritta. La dottoressa innalza una specie di coniglio trasparente, lei è gentilissima, credo che serva a giocare ma poi scopro che non è così; mi informa anche del prolasso prossimo venturo e della ginnastica che devo fare per non farmela cascare in terra a breve, pare, ma anche per non pisciarmi addosso. Credo che sia cosa sana verso i quaranta trasferirsi in Patagonia, per scampare l’orda assassina dei funestatori di femmine. Dico. A sessantanni all’uomo tocca il Viagra, a quaranta ad una donna la previsione di pisciarsi addosso con odore in mezzo alla gente. Quindi imparo la ginnastica pelvica mentre la signora mi infila cose dentro, e tutti facciamo finta che sia normale.

Uscita dall’ospedale ho il vomito: sono stata violata in ogni centimetro –  ah no, il sedere è salvo – e mi sento male. Non riesco a parlare da due giorni e mi rincorrono le frasi di circostanza sul mio nuovo status di bruciatrice di calorie con pasticca, giacchè alla mia natura si confaceva di più la tiroide pigra. Come me. Una consolazione unica: mancano almeno 364 giorni al prossimo controllo, che nella pubblicità è tinto di rosa in stanzette di legno svedese, in realtà si distanzia da un rito tribale tipo ius primae noctis solo perchè quel dolore serve, eventualmente, a non morire. Avendo superato la prova credo di essere immune al televoto, a questo punto.

3 Comments

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