Bisogna stare attenti nella vita: a forsa di volere un’esistenza diversa e avventurosa questa si palesa davvero; finisce che fra un innamoramento da restare senza fiato e un calice di Luis Roederer si finisce per rimpiangere pasta e fagioli, un focolare e un gatto sul divano. Eppure provo a immaginare la mia storia personale in maniera più regolare, fluida e, nonostante mi bruci la pelle (con fumo diffuso), non ci riesco: e che cosa ci farei in casa tranquilla e serena, io? A pelare fagiolini e aspettare il maritino?
Ci sono donne che sono nate per consolare quelle come me, e ci sono donne come me, che sono nate per dare loro una ragione esistenziale: come potrebbero altrimenti sopravvivere alla noia mortale del camino quotidiano o del fidanzato che le ama e le sposerà? Ci penso io a movimentare animi e vite. Ora, ad esempio, con un compagno in rehab e alla ricerca di nuova abitazione, sono uno schianto, le amiche si contendono la mia presenza e racconti a suon di telefonate, son popolare come solo dopo la recita della terza media.
Caro Eraclito, pensavo a te stasera. Non c’è altro che vorrei stasera che stare fra le tue braccia. Braccia larghe per una festa comandata in cui tutti (gli altri) sono in Chiesa. Vino francese nelle immediate vicinanze, parenti e amici in un altro fuso orario, bambini a letto e bambine cattive alzate. Tu, mio caro, sei una presenza costante nei miei pensieri, e una delle poche persone con cui avrei voluto vedere Parigi a Novembre. Barcellona mai, perchè quella è una citta da vedere da sole, con tutte quelle rotondità. Mi ricordo come ridevi quando diventavo una radio di lamenti, e dicevi che certe cose non si addicono a chi vive con onestà. Mi dicevi, aspetta, come dicevi di preciso? Ci sono due cose che ci ammazzano prematuramente: la televisione italiana e la pietà dei propri amici; a chi sta male bbisogna mandarlo affanculo, bbisogna, così si ripija. Caro Eraclito, quelli erano i giorni, quelle erano le notti.