Per giocare bisogna respirare, mica parlare.

juanita

La mia amica G è una traditrice professionale, che non lascia traccia: ha un appartamento segreto intestato ad un’altra mia amica, si porta dietro una valigia con un ricambio completo, mi chiama qualche volta per reggerle un alibi – in caso la cercasse la mamma. La mia amica ha 46 anni, vive con la madre chè il padre amato le ha lasciate qualche anno fa, viaggia poco di giorno e parecchio la notte, ha piedi bellissimi che tiene in sandali elaborati ma fini. Ogni tanto mi passa a trovare fra un viaggio ed un altro e mi racconta cosa succede, oppure mi lascia un oggetto che è sospettoso, che non vuole riportare a casa dalla mamma. Mi dice le storie belle e quelle brutte e io questo lo apprezzo moltissimo: quanti amici abbiamo che ci riservano solo le storie di successo, la loro versione dei fatti, senza mai metterci al corrente delle loro disfatte, simili alle nostre? Troppi.

G ha una email, segreta, dove ha messo il cognome del babbo e della mamma come prima parte, quella che sta prima della chiocciola, come a dire: appartengo ancora a loro, faccio parte di quel nucleo antico. Ha un bello stipendio, dico, se penso che tempi sono, e lo mette tutto da parte per tenersi in forma: cura delle gambe, cura dei piedi, delle mani, dei capelli, botulino, fillers, piccoli interventi, abbronzatura tutto l’anno – quella dolce, non quella da lampade scadenti – vestiti che le calzino il corpo proporzionato ma abbondante, denti bianchi. La mia amica è sola come un cane rognoso, lo sa e se ne fa una ragione: ogni euro a prepararsi per essere immolata lo toglie al suo animo, al desiderio legittimo di avere una famiglia, un uomo, una donna, qualcuno da amare riamata. Storie consenzienti fra adulti che hanno gettato la spugna, match poco divertenti, sudate che non scaricano le tossine ma le accumulano tutte sul cuore, sullo stomaco, nei ricordi.

G è sorda. Quando parla, ascolta sè stessa. Si ascolta tutto il giorno sciorinare le teorie sugli uomini cattivi, su come l’unico sistema (qualche volta dice “l’unica cosa che mi faccia sentire viva”) per legarli a sè anche temporaneamente sia di andarci a letto, ma poi non sono seri, rimangono con le altre. Mi dice, senza prendere fiato, che le ultime storie si assomigliano tutte e che lei ci crede in un futuro con qualcuno, che ce la mette tutta: si è anche messa a dieta. Mi chiede, ma non me lo chiede davvero, cosa penso. Non importa, perchè io non penso nulla: non ho una teoria sull’uomo e la donna. Mi piacciono gli uomini, mi piacciono quasi tutti, ma trovo di una fatica immane il lavoro quotidiano per mescolare le acque, per fare entrare il loro fiume nel mio lago e i miei affluenti nel loro mare. Mi riesce difficile dire le bugie, non nell’emissione ma nel mantenimento (Che avevo detto? Con chi avevo detto che ero? Quanto avevo detto che avevo speso?), e questo è sempre terreno di scontro in una relazione, perlomeno prima dei settanta.

G mi snocciola la storia, anche stavolta, e mi guarda negli occhi per vedere che reazione ho. La cosa buffa è che lei pensa che siano certi particolari a darmi noia – ma io guardo Nat Geo Wild tutte le sere, lo so cosa fanno fra di loro i mammiferi di tutte le specie – mentre a me quello che mi sbilancia è la sordità, il parlare a ruota senza ascoltarsi e verificare che quelli attorno siano partecipi e non ammutoliti. Le parole sono un mezzo, non dovrebbero essere un riempimento, come l’acrimonia non dovrebbe muovere il nostro mondo interiore – eppure ieri ho pianto di rabbia per metà pomeriggio, e meno male che ho paura del dolore se no mi sarei fracassata la testa contro il muro. Un uomo e una donna si incontrano, si piacciono, iniziano a raccontarsi la loro unica, magnifica, storia. Inizia un intreccio come quello di un cestino di vimini. Quando uno parla l’altra ascolta e viceversa. Ci si dicono cose finchè la gioia di ritrovarsi negli occhi altrui ci spinge l’uno nelle braccia dell’altra. Finchè non si capisce di essere arrivati, con questo cammino strano. Lui vuole il bene di lei, lei vuole il bene di lui. Cosa è così difficile in questo? Per G, rispettare sè stessa, credo.

9 Comments

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    Cinzia cara, sempre così gentile. La Cecilia ci prova con la Stella, ma la Stella è troppo più grande, non c’è appeal. Quando saranno grandi, magari. Oppure ci gioco io, col secchiello, chè mi ci diverto tanto.

  • Giugno 10, 2011

    cinzia

    Ciao Juany ,
    Scrivi veramente bene!!!!!!!!!!!!!!!!! Bacione anche a Cecilia Arriva anche Stella ! Magari vi potete trovare!