Di questo periodo ricorderò due cose: la rubrica di Maria Laura Rodotà sull’inserto del Corriere della sera e la caduta degli dei, ovvero i maschi della mia vita. Dovrei dire mammiferi maschi, perchè la terminologia “maschio” in sè richiama immagini da Marlboro Country che per l’amore benedetto del cielo, ma nemmeno da lontano. A noi che siamo cresciute con Cenerentola, prima, e con la Yourcenair, dopo, pare strano che un uomo eppure raffinato non rientri a casa la sera con le scarpe coperte di fango e il portatile sotto il braccio, brandendo la forchetta per mangiare lo stufato, reclamando la nostra presenza nel talamo ma solo dopo avere visto assieme Brothers & Sisters. Siamo cresciute, insomma, a pane e stronzate, metti perchè Paolo Bonolis all’epoca era un bravo guaglione che faceva sgangherare dal ridere ma poi era Simon Le Bon (Axel Rose) quello da acchiappare al lazo, o perchè la mamma era talmente confusa a uccidere filosoficamente la figura di sua madre che non si accorgeva che cominciavamo a fare riferimento su figure vacue come Vanessa Paradis; sarà quel che sarà, ma ci ritroviamo oggi con un antagonista-amante assolutamente privo di senso e di fermezza, che noi abbiamo cresciuto ed incoraggiato.
Dovevamo insorgere quando il servizio di leva è stato abolito, scendendo in piazza per farne ripristinare un altro, obbligatorio, di almeno quattro anni. Poi ci dovevamo riversare nelle piazze alla prima avvisaglia di metrosexualità, credo che Gillette sia probabilmente la prima vera promotrice dell’homo glabrus, ecco guarda che bei risultati. Ora, un potrebbe pensare che io mi stia riferendo all’estetica dell’uomo contemporaneo, mentre mi riferisco solo ai suoi contenuti (?): a forza di piangere e compiangersi, a forza di avere il tempo di dare sfogo ai propri egotismi e alle proprie malinconie, dopo essersi impadroniti di quelle frasi per cui avremmo duvuto, sì per quelle, essere bruciate sui roghi – “credo di stare cambiando in un modo che non conosco”, “mi sento scippato della mia gioventù”, “ho tanta rabbia che non so come sfogare”, “scusami per oggi, ma mi sento teso e nervoso”, e via dicendo -, e avere scoperto le gioie di esternare le scappatelle – ma dove sono gli uomini che, come le donne, se la fanno da una parte di nascosto e poi tornano a casa un pochino più allegri di prima – a scopo auto-terapeutico, eccoli qui, il capolavoro del terzo millennio: la donnetta irsuta.
Dico donnetta perchè penso a noi stesse in maniera dispregiativa ogni volta che leggo indulgenza, ogni volta che vedo malizia e lamentele senza senso, desiderio di rottura invece che costruttivo. Donnetta pelosa, pronta a scacacchiare mugugni addosso a tutti, fragile e beona, codarda e pure violenta, questo è l’uomo che mi trovo davanti a cena, sul lavoro, nel letto e dovunque mi giri, negli spazi che prima erano della mia memoria e ora sono condivisi con questi fantasmi del passato, come in una favola di Dickens rimasterizzata da Maria De Filippi – un incubo.
Ci vorrebbe che invece della donnetta irsuta questi si svegliassero, tutti, e cominciassero a guardarsi le donne, quelle normali, quelle che la dignità non è una parola sermone e nemmeno da campagna politica. Che si svegliassero, queste mammole, che ridotti in questo stato di disgrazia non li vuole più nessuna.