Recensione: la Spa dell’Intercontinental Hotel di London.

 

Vorrei che fosse chiara una cosa: ho (quasi) trentacinque anni, non ho mai fatto un trattamento al viso in vita mia e non mi prendo cura della mia pelle. Non lo dico per vomitare una serie di notizie personali addosso a chi si imbatte in questo blog, ma perche’ mi e’ stato chiesto di fare una recensione per un giornale inglese su una spa appena inaugurata, all’interno di un hotel a-la-londinese, l’Intercontinental Hotel, design e lusso che poi funziona. Lo dico perche’ se leggessi una recensione di un critico gastronomico dalla lingua mozza questo non sarebbe un connotato privato ma un coefficiente all’interno del’equazione giudizio. Cosi’,e’ bene che si sappia che io sono probabilmente la persona meno indicata in Europa a dare un giudizio su qualunque cosa riguardi l’estetica, giacche’ sono una vanitosa della privazione – ovvero sono molto vanitosa, ma ricerco la mia possibile forma migliore nel negarmi ogni indulgenza fisica.

“Ma tutto?”, cosi’ chiedo a Lucia quando mi chiede di levarmi maglia, reggiseno, scarpe, calze, di tutto, per affrontare il mio Tri-Enzyme Resurfacing Facial da 85 minuti, l’ultima frontiera del trattamento alla faccia che promette di riportare splendore e glow laddove ora regnano trascuratezza e opacita’. “Tutto tutto”, mi sorride, dolce Lucia, e mi lascia da sola nello stanzino delle torture per due minuti. Suona Rachmaninov nello stereo incastrato nelle pareti, e’ il terzo movimento dei famosi quattro, e lo prendo come un segno del destino: la musica fa da sfondo alle nostre esistenze , e questo e’ un brano da tregenda. Mi aspetto grandi risultati.

“Quali trattamenti riserva alla sua pelle” mi chiede Lucia. “Nessuno”. “Si leva il trucco la sera?” “No”. “Si mette il tonico?” “No”. “Si mette una crema idratante almeno una volta al mese” – dall’avverbio aggiunto capisco che Lucia sta perdendo le aspettative su di me. “No”. “Posso dire allora che la sua pelle e’ continuamente trascurata (neglected, dice)?” “Si”. La mia solita arroganza comincia a sfaldarsi davanti al sole di Lucia, che svolge il suo lavoro con estrema professionalita’, e se c’e’ una cosa che mi atterra e’ vedere dedizione laddove vorrei mettere sarcasmo. Comincio a vergognarmi di non applicare ora una maschera ora un esfoliante. Io sono il target delle pubblicita’ per le donne, sono quella da conquistare, perche’ se qualcuno convince me a spendere piu’ di sei euro per una crema vuole dire che riesce a convincere quell’ottanta percento di donne resilienti ai trattamenti per femmine che abitano l’emisfero occidentale. Io sono il piu’ grande cliche’ vivente: la donna che pensa di essere unica. La realta’ e’ che quelle che spendono in cremine e vanno dal parrucchiere sono un’esigua minoranza. Conscia della mia banalita’, mi rimetto alle cure della mia nuova amica, che mi guarda la pelle da vicino e, con un rintocco di campana in sottofondo (Grieg?) spadella il giudizio: “congestionata”.

La mia pelle mi somiglia, dunque: piena di roba che non so amministrare molto bene, punti neri, pensieri, capillari rotti (sic) e pori impazziti. E ci credo, con un fidanzato che vive a due ore di aereo e un padre che ha abbandonato il nido per una che ha dieci anni meno di me, un lavoro che l’anno scorso ha sofferto come un bambino prematuro, altro che congestioned. Avrebbe dovuto dire schizophrenic. Inizia una specie di danza amorosa fra le mani della mia guru e il mio corpo rigido, coperto solo da un asciugamano blue cobalto: ora i piedi, ora le braccia, ora la faccia. La bocca, gli occhi molte volte, Lucia dice “ora ti diro’ delle frasi, non importa che tu mi risponda”, e penso due cose: la prima e’ che se un uomo mi mettesse nuda con una rezzola sopra le tette e mi sussurrasse quella stessa frase mi donerei a lui senza ritegno. La seconda e’ che le Spa sono un misero tentativo di rubare alla natura l’emozione dello sdraiarsi vicino a un ruscello quando fa buio, che dovremmo massaggiarci a vicenda almeno sette volte a settimana nel bosco e smettere di avere paura del contatto fisico.

Occhi, naso, leviamo punti neri,ecco il solletichino, prima, e il bruciore salvifico, dopo; spalmiamo una specie di bitume profumato sulla faccia, che poi diventa una maschera come quella di Mrs Doubtfire. Ho voglia di chiedere se la posso tenere per ricordo, ma poi mi vergogno. Vorrei anche che qualcuno mi facesse una foto, poi so che la userei per fare la simpatica e dire te ne rendi conto, io in una Spa, e allora faccio finta di nulla un’altra volta. Questa ora e mezzo e’ caratterizzata da tutta una serie di dialoghi con me stessa che normalmente non ho il tempo di intraprendere – e meno male, dico, vista la qualita’ degli approfondimenti. C’e’ da dire che l’odore di questo impiastro e la consistenza della mia pelle sono qualcosa per cui, actually, potrei mettere da parte dei soldi e dedicarmene il godimento almeno una volta a bimestre. Tocca qua, mi dico, e mi sfioro la guancia: sembra il culetto della mia Cecilia quando era piccinina. E il naso? Roba da matti, liscio come un corrimano.

Mi tocca un altro massaggio rilassante e una lezione sul come mai mi metto troppo trucco sulla faccia: e’ vero, mi vergogno di quelle macchie rosse sulla guancia. Mi suggerisce, Lucia, una cremina color blue che appiattisce quei difetti, cosi’ potrei mettermi solo un pochino di polvere minerale colore del caramello. Altro che colletti marroni e lavatrici a sessanta gradi: anche io posso essere Letitia Casta e mettermi solo un po’ di fard rosa sulle guance, invece del guano marrone con cui mi impiastriccio a cadenza regolare di otto ore. E-le-mis! E-le-mis! E-le-mis! Sembra un’invocazione da fare davanti ai menhir di Stonage. In realta’ e’ il nome dei prodotti che mi hanno profusamente diffuso sulla faccia.

Terra, Londra, 24 ore dopo il trattamento. Ho la sensazione di essere stata riscritta in bella copia. La mia faccia ha un fulgore che non vedevo dai tempi della Cresima, quando fui incoronata miss Sacramento ed Edoardo, il piu’ carino della Parrocchia, scrisse il mio nome sotto la sua scarpa, un paio di Superga bianche portate senza calzini. Entro in tutti i saloni, mi metto i capelli dietro le orecchie, tante le volte coprissero qualche centimetro di pelle. Portero’ con me nella tomba la risposta alla domanda finale che ho fatto a Lucia. Le ho chiesto “ma dimmi la verita’, quelle che vengono qui sono come me, peggio o meglio di me, in termini di, eeeeer, cura, ecco, della loro pelle?”. E Lucia “Oddio. Meglio. Tutte meglio. Oggi le donne sono piu’ coscienti e rispettose  di loro stesse”. Piglia e porta a casa, sciattona.

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