Il merito è della Sabina.

Juanita de Paola

La prima volta che ti viene chiesto di scegliere fra disciplina e libera espressione della personalità é probabilmente all’arrivo di una grandissima, inconsueta emozione. Nel mio caso fu la vista del seno nudo di una commessa nel negozio di vestiti sotto casa del mare. Avevo otto anni, avevo anche io una terza misura di rotoli di grasso, e nessuna forma. Lei, invece, la ricordo ancora: caschetto alla Valentina di Crepax, lunga e elastica, e queste cose appuntite che sbucavano da un maglione molto, ma molto scollato.

Si era chinata per salutarmi giacchè la mia mamma era una buonissima acquirente e lei lo sapeva che bisogna stare dietro ai pargoli, per conquistare i genitori. In questo movimento proteso verso il mio faccione, con una caramella in mano – tanto, vero… – mi aveva disvelato un mondo che non conoscevo: la nudità sotto i vestiti di fuori.

Io, dal mio canto, avevo sempre un vestimento di fuori e uno di sotto, composto (almeno) dalla maglina della salute e la biancheria con scritto il giorno della settimana. Me li aveva comprati mamma per non scordarmi di cambiarmi le mutande. Poi mi mettevano sempre una camicetta col colletto tondo, come si conviene, che non solo mi bloccava il respiro ma mi faceva sentire piccola, asessuata. Non è che si camminasse nudi in casa mia, anzi, e la mamma ha sempre avuto grande riserbo, ma “sapevo” che anche lei indossasse dei vestiti di sotto, più delle strane guaine che si collocavano appena sotto le calze collants.

La ragazza del negozio era vagamente strabica e fumava, ma tutto sommato l’impressione era di una creatura felice, carina, assai disponibile. Mentre stava chinata con quei cosi in fuori io ero paralizzata, ma feci la mia scelta: iniziai a sorridere come un’ebete, facendo finta di non avere turbamenti, allo scopo di vedere gli spunzoni per tutto il tempo in cui sarebbero stati in bella vista. Poi, dopo avere terminato la caramella in secondi, ne chiesi un’altra. Poi uscii fuori e cominciai a dire a chiunque, specialmente al giornalaio Pablo che doveva avere la sua età, che c’era questa signora che apparentemente era nuda come un baco sotto la maglina color sabbia, e che si chinava sempre.

Dopo giorni, tornai al negozio. Avevo sognato immagini terribili, mi sentivo in colpa, senza nemmeno capire bene cosa avevo fatto. Ma le dissi cosa esattamante avevo imbastito, insomma, persino il bel Pablo sapeva che lei, sì, ecco, stava come un verme sotto le t-shirts. Lei rise, di gusto davvero. Mi disse guarda amore che siamo al mare, e poi le tette ce l’hanno date, mica bisogna vergognarsene. Un giorno, quando cascheranno, vedrai che le terrò sotto un maglione lungo così. Mi guardò, inoltre, e mi chiese se mi volevo provare un costume da grande. Sì, dissi. Me lo dette, era un intero nero scosciatissimo sul sedere, molto aggressivo – non per niente correvano gli ottanta – e mi disse: guarda come stai. Torna a fartelo comprare dalla mamma.

E così fu. Ci volle del bello e del buono per convincere mamma che quello era un vestimento da bambine, ma la Sabina, così si chiamava, le disse che se non se lo scoprono le piccine quel culotto lì, chi lo deve fare? Mamma accettò, anche perchè era un caso raro che le chiedessi vestimenti di fuori e dentro nello stesso tempo. Alla spiaggia ero felice, ebbi la prima grande ebrezza. Imputai questa felicità alla mia furbizia di guardare le zizze alla signorina del negozio.

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