Un ricordo vivido del liceo è la mia amica I che mi racconta delle sue tinche nella vasca e di come la sera le carezzava per fare sentire loro la vicinanza, nonostante non fossero più nel laghetto – infatti, erano nella vasca. Lei, I, era una creatura pacifica, probabilmente molto più intelligente di noi cazzoni che si abitava l’ultima fila dei banchi, ma imprevedibile: questo aveva reso le sue interrogazioni di storiografia o filiosofia di portata eccezionale. Andava a pescare, col padre, e poi teneva in vita questi bei pescioni mediante una sosta nella sua vasca piena. Me lo aveva raccontato non ricordo bene perchè, ma sono sicura che era durante fisica: l’astrusità dei moti centripeti e quella dei racconti delle tinche, per me, identiche erano.
Non desidero che I muoia, nè credo che lei proverebbe piacere a sapere che sono sotto terra, ma se uno dei due eventi dovesse capitare nessuna delle due si butterebbe di sotto – probabilmente non lo saprebbe mai. I, come molte altre persone, sono state lì accanto a me per così tanto tempo che mi vergogno di non farmele mancare neppure per un minuto: eppure è così. Sono un homo-sapiens mediocre, che punta alla sopravvivenza, e che tutto sommato tira il fiato quando tocca a qualcunaltro. Il dramma è che, però, per noi fatalisti niente giunge per caso, nessuna persona si incontra senza motivo, quindi mi ritrovo ultimamente a scrivere sull’agendina nera i nomi di tutti quelli che la memoria mi dà la grazia di ricordare. Tutti.
Ho fatto così uno schema a tre colonne: nella prima metto il nome (o il soprannome), nella seconda le circostanze per cui ci siamo incontrati e nella terza la conseguenza, l’impatto che quell’incontro ha avuto nella mia vita – stavo per scrivere esistenza ma questa parola mi è stata inibita dalla professoressa Mannori, e non mi è mai più riuscito scrivere nè quella nè “adesso”. Si dice “ora”, dice lei. “Evitate i modernismi”. Il giochino dell’amarcord ha prodotto una lista di circa un migliaio di nomi, che sono un’infinità, e che soprattutto sta facendo riaffiorare immagini, profumi, empatie, le cose che mi hanno legato, anche profondamente, anche per pochi minuti, ad un altro essere umano.
La prima conseguenza della Schindler List della mia memoria è il ritornare di numeri di cellulare ormai defunti – e la conseguente idea di aprire una banca dati di numeri morti a cui ci eravamo affezionati: si potranno richiamare un giorno, e risponderà una versione ringiovanita dei loro possessori. Sarà magnifico. Io chiamerò L tutti i giorni e anche P e anche V – ricordo il doppio dei numeri morti rispetto a quelli odierni, che strazio. La seconda conseguenza è il riemergere di particolari vergognosi rimossi per giusta causa, che felici tornano a pigiare tutti i bottoni della dimenticata ansia. Ad esempio: correndo dietro al figlio di un ospite di un Natale di ventisei anni fa mi sono ricordata di quando io stavo a sedere sul lettino a castello e lui, colle guance rosse, mi ha chiesto “ti posso mettere la mano sul ginocchio”? E io “e perchè”? E lui “perchè così fa bene”. E io “vai vai”. Poi ero arrossita, poi ero corsa in cucina a mangiare venti ricciarelli, poi ero tornata in camera a farmi rimettere la mano sul ginocchio.
Oppure, riesumando una gita fuori porta per trovare gli anziani, mi sono ricordata di quella bambina che aveva i jeans bianchi, che si chiama D, e che veniva dalle Marche. Eravamo andate a cantare per animare il pomeriggio stolto di questi poveri vecchi abbandonati a sè stessi, e lei era stonata e brutta in faccia: cantavo io, mentre un genitore suonava la chitarra. Poi si era levata il giacchettino e sembrava una libellula, mentre io un catafalco festivo: ecco, di quel giorno, ricordo la prima grande sofferenza nel vedere i ragazzini, che pochi giorni prima erano bambini, guardare quel corpo con un interesse che a me non era più riservato. Quel giorno, e solo allora, mi sono accorta di essere una bambina grassoccia – e ho cominciato a comportarmi da tale.
Il primo Twix al distributore automatico con M, che non mangiava ma io sì: ricordo il corridoio e la sensazione di avere mollato gli ormeggi, sul mio pedalò esistenziale senza meta e senza timone. La prima sigaretta accesa nella camera dei miei genitori con la mia amica C e i comodino bruciato. La sera che la professoressa G mi ha chiesto se potevo farla io la pasta al college: avevo tredici anni, e speravo di cucinare qualcosa che piacesse ad A. Strange enough, ho reincontrato A l’anno scorso, ed era un uomo pelato con una targhetta appiccicata alla giacca, in un aeroporto, con su scritto Professor Dipartimento Eccetera. Tornava da un congresso. Aveva una faccia come una targaruga e lo sguardo spento di chi ha un bello stipendio e nessun sogno da inseguire. Mi sarei ammazzata per un suo bacino, a tredici anni, ma a lui piaceva M che non mangiava.
Trovo nella scatola della testa anche un ragazzo che mi ha venduto un Motorola 8700 con la pila grossa, quella alta sei centimetri: probabilmente l’aveva rubato, che ne so, io l’avevo comprato su un sito. Aveva, quando mi aveva consegnato il telefono, indugiato un attimo di troppo sulla mia mano: gli piacevo. Così, come ci si piace, per nessun motivo, a diciotto anni. Mi aspetto che sulla mia lapide, un giorno, ci sia scritto: Sapeva vivere bene, faceva in modo di vergognarsene. Ricordava, segretamente, ogni cosa che le interessava.
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E’ bello il giochino dell’ Amarcord.
Penso possa aiutare a fare qualche consuntivo.
Quando sentirò l’esigenza di farlo “ruberò” il tuo metodo. Però penso sia anche divertente scriverli su foglietti chiusi e mischiarli fra loro per vedere “cosa sarebbe successo se….”
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Te lo dico con gentilezza, se ti sento (leggo sarebbe apparentemente più appropriato ma ora che lo scrivo direi che “sento” andava benissimo nell’accezioen emotiva) un’altra volta riferirti a te stessa come mediocre ti scovo e ti prendo a calci nel culo finchè non mi si lussa un anca.
P.s.
(mmm in effetti in un certo senso sei un homo sapiens mediocre, vista la schiatta di mentecatti che ora come ora rappresentano il nostro genere, in questo senso è un vanto essere pessimi come umani, io preferirei essere un “media” bestia che un “tipico” sapiens … Ma la promessa dei calci nel culo resta