Modigliani era solo, ubriaco sul marciapiede davanti al bistrot a Montparnasse, appena girava l’angolo era saggio e disciplinato: era un grande attore, dice tale Parisot nell’ultimo numero de Il Toscano. Così siamo noi, che riserviamo al nostro vero io solo gli ultimi due giorni delle vacanze al mare o la fortuita permanenza coatta in aeroporto causa vulcano, che giriamo angoli di continuo per vendere qualcosa a qualcuno – ci vuole un cingomma alla menta doppia per levarsi l’olezzo di bocca quando si parla da alticci ma non si vuole dare a vedere, specialmente se si sta cercando di rifilare un prodotto, un servizio, qualcosa. Non ho da lamentarmi del gioco del placare bisogni altrui, perchè é un’arena dove combatto con gioia infinita, il punto è che abbiamo poco da stare spontanei, non si può abbassare la guardia mentre si vende, perchè se no ti fregano.
Quando mi invitano a vedere una casa cerco di non pensare a cosa avrei messo io, in quale modo, in quella stanza, ma a cosa pensavano i proprietari che l’hanno tirata su. Sono abbastanza veloce a capire quando vale ogni metro quadro sul mercato, quale mercato?, ogni mercato, tanto non esistono più i popoli ma solo le popolazioni, e oggi tutti assomigliano a tutti. Ad esempio i russi, appena usciti dalle file del pane ma con una grande letteratura, forse la più magnifica, hanno deciso di prendere ad esempio gli americani che gli americani emarginano, quelli ignoranti con la macchina enorme e gli stecchini fra i denti che viaggiano a Paris e Rome come se andassero a Orlando, ora che anche loro si possono permettere soggiorni da decine di migliaia di euro. Per intendersi, i miei clienti spendono in una settimana quello che le persone normali impiegano quattro anni, nel migliore dei casi, a pagare con un mutuo.
Negli occhi di chi viaggia potendosi permettersi ogni cosa vedo la stessa espressione svuotata dei proprietari seriali, quelli che si ritrovano con ville e case in ogni dove e decidono di metterle a reddito senza avere un vero e proprio spirito di ospitalità, ma solo per ripagare le spese di mantenimento e i contributi, quando versati, dei vari indiani, filippini, turchi, italiani che popolano le loro case secondarie per la servitù. Non c’è gioia, spesso, non c’è cerimonia, gratitudine. Pochi capiscono il gesto dei fiori freschi, pochissimi sanno cosa far trovare nel frigo a un pellegrino: certi giorni mi auguro che si torni alle carrozze, alle cose poche, alla distanza, poi mi tiro un paccone nella testa per sotterrare questo mélo da Candido. Ci sono poi le eccezioni, e queste rappresentano il motivo per cui faccio il mio lavoro con la stessa foga dei vecchini che giocano al poker nei bar: il piacere, estremo, fisico, di vedere vecchi atti declinati in chiave ricettiva rifarsi vivi, tornare alla vita in una delle mie ville, per uno dei miei clienti.
Nel sesto mistero gaudioso si contemplano i pezzettini di pera “coscia” che si rifrangono nei ripieni di pecorino delle gote e le lasagne debordanti di Federica Francese, di cui violo volentieri la privacy perchè, come per i Brangelina dopo che si sono messi assieme, la sua vita non è più privata da quando mi ha messo a tavola. La lingua, ancora acerbata dalle fave verdi e dallo champagne, ritrova il gusto dolce della vita e si prepara ai frutti di bosco (caldi) con gelato (freddo), un effetto giocoso come quando un uomo che ti piace ti fa una snasatina sul collo. L’inglese mi guarda come se stessi parlando troppo ma si mangia le lasagne, e aggredisce la mozzarella burrata, ovvero la riprova che l’entropia è un dettaglio rispetto ai piani dell’universo per farci felici. Zucchero di canna che sembra biscotto pestato, ci vorrebbe un diversivo per poterci infilare un mestolo e mangiarselo. Trangugiare è il verbo a cui penso di più. Segue sbavare.
Ripenso ai pomodori di nonna Elena, pieni di sapore, olio e origano, mangiati nella terrazza della casetta sul porto di Punta Ala: ecco cosa mi ricordano questi sapori, e rientro mentalmente al tavolo solo quando mi accorgo dei fagioli con la broda che cantano lo jodler; sono stati fortunati, sarebbero potuti finire in un’altra casa, ma sono arrivati qui. Mi torna in testa di quando veniva Loretta Goggi a mangiare e si facevano le foto che poi finivano nelle cornici, perchè erano le polaroid importanti, le più popolari presso gli ospiti. Era simpatica Loretta, e magrissima, ma non riusciva a fermarsi davanti ai pomodori ripieni di riso di nonna, alla sua insalata russa con la gelatina, alla sua omelette croccante, obesa di formaggio ed erba cipollina. Abbracciavo nonna con le sue puppe enormi e lei sapeva di aglio, di basilico, di mamma all’ennesima potenza.
Questa casa sa di buono, sa di Leopardi che ce la fa a cuccare Silvia e vissero felici e contenti far edizioni limitate di libri con la copertina di pelle, di ricette per tenere l’argento vivo e splendido, come i ricordi della famiglia quando siamo piccini. Se è vero che una casa si vede dal bagno, questa allora è ricca, con una schiera di profumo da bon vivants che mi accendono il desiderio di chiudermi qui dentro e spruzzarmi fino alla nausea, perchè sì, perchè tanto gentili come sono non mi direbbero nulla. Prossimamente teatro di cene a tema – a capotavola Amy Whinehouse, in camera, il suo manager che batte la testa nel muro, nel frantoio, con le mani unte di salsiccia, noialtri: benvenuti alla Locanda Vajani, Teatro Boroni, Scuola di Grande Cucina e Arte dell’Accoglienza di Donna Federica.
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Quando finisce questo novembre allora si ribissa con una cena all’aperto con corti. Molto volentieri.
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Il pannolone mi ci vuole a me quando ripenso alle lasagne e ai crostini alla salsiccia. Ho sognato il paradiso delle vergini con le cascate di latte, bisogna che avvertiate gli ospiti di certi sgraditi effetti collaterali.
EmmeBi
Siamo commossi e senza parole. E menomale che c’eravamo messi il pannolone.
(e poi, far trombare Giacomino… priceless)