Riconosco il passo pesante, saranno le quattro, ma vengo graziata: è il vicino che ha sbagliato casa, scale, fidanzata, gli chiedo ‘cosa ci fai qui’, ‘vado a letto’ dice. Lo giro di centottanta gradi, riparte giù, per le scale, ‘si, ma a casa tua’, dico. Puzza di alcol chiaro, un odore diverso da quello diabetico del vino. Avverto la compagna, non la prende bene, mi chiede ‘cosa gli avete fatto’. Penso che siamo cieche, sorde, condannate ad allevare bambini che invecchiano. Nulla gli abbiamo fatto, e poi abbiamo chi? Sono a letto dalle nove, ma di sotto c’era una festa, ho anche messo una foto su Facebook.
Alle sei la grazia finisce, rientra con il passo di chi si porta un divano sulle spalle durante una scossa di terremoto, l’odore di fogna passa la porta come un calcio, la rabbia è talmente forte che ho paura mi venga un collasso allo stomaco. Stai zitta, la bimba dorme. Tieni la bocca serrata, strizza gli occhi e respira pianissimo. Dove sei stato, cosa hai fatto stavolta, con chi o cosa hai deciso di scavarmi altri dieci centimetri di fossa?
‘Signore fallo morire’, prego tutte le sere. Subito dopo mi pento, poi vado anche alla chiesa anglicana a confessarmi, tanto Dio non si arrabbia se cambio declinazione, il prete mi guarda come un lupo guarda un coniglio zoppo. Mi succede spesso. ‘Vado a camminare’ penso, la mia soluzione ad ogni problema. Esco e metto le cuffie con i bassi potenti, ma ho pochi minuti, devo tornare dalla bimba, non si deve accorgere di nulla. Pioviggina, sono viva solo fra gli alberi. Domani ricominciamo, vedrai che ce la facciamo. Domani cambiamo bar per parlare, ‘uno dove non hai lasciato i debiti, cosa dici’? Domani passo a pagare al pub, ho paura che non diano il succo di frutta alla bimba se lo chiede. ‘Quanto deve?’ ‘Ottocento’. Ottocento. Pago.
Domani chiamo mamma.
“Come stai amore?’. ‘Sto bene mamma. Mi portano sempre a giro la Domenica’. Vorrei stare a casa, ma siamo un circo itinerante, un orrore – questo non glielo dico. Al ristorante non ordino, mangio gli avanzi di tutti, di nascosto come sempre: chi nasce tondo non muore quadrato. Domani si riattacca, un’ora e cinquanta di treno, poi il baretto; penseranno che sono matta con questo computer a botte di dodici ore a volta. Il maggiordomo alla villa ha spento la piscina riscaldata, per farci dispetto, devo risolverla, loro non sanno che per me questa è acqua fresca. Mangio un uovo lesso a mezzogiorno e uno alle tre. Mi sballa il cuore. Mancano cinque giorni a Sabato, speriamo che scoppi una guerra o che mi lascino stare a casa questa Domenica.
Quattro anni dopo, oggi, cammino senza cuffie e senza bassi, con il cane e una maglietta che lavo la sera e rimetto spiegazzata la mattina. Non mi ricordo nulla dell’odio che ho provato ma molto della paura del rumore, di notte, il desiderio che la bimba non si svegliasse, che non capisse, che non venisse impestata dalla mia rabbia bestiale, primitiva, che non sentisse le parole strascicate di quello che cammina coi piedi di uranio.
Sono sudata, contenta e ho la sensazione forte e pulita di avere girato l’angolo. Mi accompagno, senza bizze, alla Pieve, salutando ciclisti e donne con la lattuga in collo. Siamo tutti rimasti con qualcosa, io con un cesto d’amore da dare, che per ora tengo per me.
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