Da piccola non perdevo una puntata della saga fumettistica di Dago, una creazione di Robin Wood e Alberto Salinas che è titanica per contenuti e disegno. Dago è l’uomo ideale, con la sua bellezza ruvida, l’onestà brutale e soprattutto la sua evanescenza: una sera ti guarda da dietro una candela come se non ci fosse domani, il giorno dopo guida le truppe nel deserto – perchè lui quello fa, è un eroe condottiero .
Tag: bellezza
Nel villaggio dove vado spesso a sciacquare i miei panni esistenziali – Vellano, appena sopra Pescia – c’è stato un terremoto attorno agli anni venti. Una sola persona è tragicamente morta, un uomo sposato rientrato in casa durante le scosse più potenti per recuperare le fedi, su richiesta di sua moglie. Un tempo, da queste parti, era uso infilare gli anelli in un’ampollina ripiena di acqua santa se la notte si faceva l’amore, allo scopo di mondare l’atto comunque impuro, sebbene fra marito e moglie. Quando il terremoto è arrivato gli abitanti ce l’hanno fatta a correre fuori dalle case in tempo, ma il nostro eroe è rientrato, perchè la moglie lo ha pregato di andare a riprendere i suggelli del loro matrimonio. Detto fatto – e fine dello sfortunato consorte, nel modo più romantico possibile. Me l’ha raccontato Publio e io ci credo, perchè lui sa tutto di questo posto, ha la barba ed è alto circa sei metri.
Primo giorno dall’Avvento delle Miss e decimo dalla costruzione del totem di ringraziamento del mio amico R, abitante di Montecatini Terme, il quale non ha mai visto così tanta grazia tutta assieme. La cittadinanza aspetta che le bimbe sfilino qua e là con la stesso malcelato entusiasmo di chi ha fatto sei al superenalotto e non lo vuole dire ai parenti. Fremiti di emozione, gente che casca di bicicletta sporgendo il collo, insospettabili con macchinette digitali che spuntano dalle tasche, chè non si sa mai. Il vantaggio inatteso del Concorso dei Concorsi, quello per incoronare la ragazza più bella che ci sia, è che basta infilarsi un vestitino frou-frou camminando downtown, un paio di tacchi e tutte le teste si girano – per vedere se è lei, se è una sola, se sono tutte. La popolazione delle donne con giro vita superiore al torace ringrazia, sentitamente, sperando nell’osmosi fisica.
Puoi passare un pomeriggio a truccarti ed acconciarti, ma se mentre ti avvii ad uscire trovi uno specchio o un vetro che rifletta bene la tua immagine, quello è il momento più importante ed utile del capolavoro che hai fatto di te.
Non è invidia.
Bella, fine, corteggiata, ricca, ben sposata, elegante, famosa, colta. Secondo me aveva l’orlo dell’abito un po’ sfilacciato.
John Singer Sargent, portrait of Virginia Amelie Avegno Gautreau, called Madame X – by Antonella Fabriani Rojas
“Ma certo, cari, fate come se foste a casa vostra!”. (George Barbier, Baccanale – Antonella Fabriani Rojas)
Sono stata ingaggiata (e blindata) da una signorina famosa che vuole tornare in auge lasciando da parte la sua immagine di bonacciona e utilizzare l’altra sè – qualunque essa sia – e che legge il blog. Una missione a me congeniale, che mi dispiace solo perchè non ne posso parlare con sorella numero uno, alla quale affido i miei pensieri per farmeli rendere in ordine. Lavati e inamidati. Il problema della bella figliola in questione è che vuole una possibilità per dimostrare di non essere semplicemente un guscio magnifico ma di essere capace anche di pensieri, parole, opere e omissioni.
Esattamente il mio opposto problema, che più vado avanti e più penso di essermi persa qualcosa per la strada: cos’è che mi ha impedito di fare tennis? Perchè non ho bevuto succhi di frutta? Perchè non sono stata più leggera, in tutti i sensi? Mi piacerebbe ora, dico la verità, avere un passato di femminilità esercitata invece che analizzata. Quindi ora vorrei io potermi permettere una beauty-coach, una che mi si piazzi in casa e mi dica ma che cosa stai facendo, ti radi le gambe nel lavandino? Oppure che controlli i miei pasti, che mi spinga a mettere il balsamo, che mi porti dall’estetista a farmi piedi, mani, gomiti. Invece niente. Sono io a fare le raccomandazioni.
La mia cliente non ha assolutamente bisogno di me, ho provato a spiegarglielo. E’ come quelli che vanno dal dietologo per sentirsi dire mangia meno, dico, mica ci vuole un dottore. Solo che il farsi umiliare nella propria condizione di debolezza è l’unica partenza possibile per elevarsi, migliorare – in qualunque campo. Quindi partiamo proprio da questo elemento: le ho chiesto di tirare fuori tutto quello di cui si vergogna lasciando da parte gli aspetti fisici che sarebbero assolutamente pleonastici, data la sua conformazione. Ci sono volute due ore al telefono per riuscire a scovare il suo primo angolo nero – sono vendicativa. Ma questo non è un difetto, questo è un comportamento. E’ vero, mi ha detto, e c’è rimasta un pochino male. Ci siamo fermate lì, il (suo) compito della prossima settimana è mettersi allo specchio e cominciare a separare la conformazione dal comportamento. Non so dove stiamo andando a parare, io non mi assolderei mai, ma lei mi è sembrata felice.
Terminata la nostra prima sessione so che il mio compito sarà quello di investigare la sua immagine off e on-line, per allinearla alla nuova sè. Ad esempio dovranno sparire tutte le foto in cui sembra una coniglietta, posa che le viene benissimo e che, se mi venisse altrettanto bene, ma col cazzo che starei a remuginare da mane a sera su parole, opere e omissioni. Poi faremo in modo di vestirci come se ci fosse un domani. Faremo buone cose, attività umanitarie, per acquisire il glow di Angelina: non c’è rimedio, bisogna sperimentare l’altrui infelicità per diventare feconde, belle, eterne. Impareremo una seconda lingua molto bene, oltre all’Italiano, perchè bene o male i giornali vanno letti – se no poi ti portano il Tapiro. Poi allestiremo una pagina web interattiva – andremo a sbirciare i siti di Bjork e Madonna, di sicuro. Probabilmente anche quello di Sofia Coppola, se ce l’ha.
Finita la prima fase avremo creato i presupposti per comunicare, in maniera appropriata, quello che si vuole. Non ci saranno capezzoli volanti, pose da garage, bocche ammiccanti o sguardi orgasmici: ci sarà lei, punto. E lei è, come le ho detto, persona generosa nascosta nel corpo di cat woman. Nella seconda fase prenderemo lezioni di galateo, bon ton, e ripetizioni di italiano: oggi la grammatica è in mano a così poche persone che, chi ce l’ha, la usa come lo speed. Abbiamo accordato anche i seguenti acquisti: un viaggio a Berlino. La biografia di Jackie Kennedy. Un soggiorno in Toscana. Nella terza fase verificheremo se avere annullato ogni possibilità di scorciatoia erotica le avrà regalato quello che cercava: ascolto, a prescindere da quello che indossa. Nella quarta lei sarà di nuovo su un calendario col sedere in fuori e io starò facendo la dieta Pierre Dukan per vedere se mi riesce di somigliarle almeno un pochino.
Per essere servite e riverite da un uomo bisogna imparare dalle donne pigre e scontente.
La professoressa Mannori ci diceva di essere estremamente umili e a me, in particolare, ordinava di scrivere solo di letteratura: il tema personale lo deve evitare, mi dava del lei, concentrarsi su Dante, o quello che vuole. Ma non scelga il tema a piacere. Cosi’ facevo, e sul sesto canto avevo preso sei e mezzo. Il voto più’ alto nel triennio classico. Lei, la professoressa Mannori, recitava. Sapeva. Mi faceva una paura cane, e ancora oggi non sono punto certa che le direi che ho un blog. A dire la verita’ so con sicurezza che non menzionerei la parola “blog” per non irritarla. Diceva: si scrive Ora, cos’e’ questa cazzata di Adesso? Te l’immagini? Professoressa ho un blog. E lei mi stacca la testa con un morso. E io chiedo scusa se sanguino.
Mi aveva dato un compito, mi diceva vediamo se riesce a venirne fuori, a imparare a scrivere. Io annuivo ieri come oggi, perche’ ancora oggi ho sempre paura che qualcuno mi sgami, che mi dica ma come ti permetti te di avere un blog? Non capisci niente. Se me lo dicessero starei zitta, ecco. Ci farei due lacrime dopo, ma non ho più’ il conforto della professoressa Mannori che mi offende e mi fa stare in binari certi. Magari miseri, ma sicuri. Onesti.
Mi ci sono voluti venti anni per capire cosa diceva la professoressa, e con questo non voglio dire che leggendomi oggi sarebbe compiaciuta. Bisogna usare i nomi giusti per le cose, bisogna misurare le parole, e lasciare l’ironia da parte se si vuole prendere una posizione ~ e’ importante farlo a un certo punto, esprimersi in maniera semplice per farsi capire, accettare la possibilita’ di essere nel torto come nella ragione. Certo, la delicatezza e’ sempre una buona via – poco asfaltata ma panoramica.
Nel caffè’ storico del mio paesello stasera c’e’ un ritrovo di macchine d’epoca, con relativi possessori. I signori indossano divise pittoresche, le signore hanno vestiti di tipo charleston. Con velette e cappelli, ventagli, schiene nude. Ci sono forse tre o quattro ragazzini, ma la maggioranza degli invitati alla cena celebrativa sta fra i cinquanta e molto di più. Qualche vestito somiglia a quelli del liscio: elaborato, flamboiante. Gli scolli sono profondi e forse un po’ azzardati, e’ vero, in qualche caso: ma sono profumi buoni, di marca, unghie fatte bene, persone eleganti. Quella col vestitino nero e i tacchi troppo alti sono io fra ventanni, dopodomani. Penso. Mi piacerebbe, ha l’aria felice. Si sente ammirata.
Una ragazza al bancone ride e dice guarda guarda le vecchiette arzille. E mi ricorda che e’ di una cosi’ che avro’ paura, quando mi inviteranno a rimettere le scarpe coi tacchetti, fra un po’. Certo la ragazza, la donna, e’ molto carina. Una bellezza regolare, senza sussulti, sottolineata da cotone aderente e braccialetti estivi. Ride di lato, come chi non ride di gusto, e vorrei dimenticarmi di lei ma non ce la faccio. Seguo il suo sguardo divertito, sarcastico, sulle signore. Il suo trattamento tocca alle donne, gli uomini non sembrano darle noia. Io spero di essere clemente. Spero di essere sorda anche, per non accorgermi di essere schernita per la mia carne pendula. Più’ di tutto auguro a me stessa di non sentirmi pronunciare la parola vecchietta, che non esiste, se non negli almanacchi di Nonna Abelarda.