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Juanita de Paola vita piccola

Note dal bosco

Brutto, come la faccia di un candidato alle elezioni che deve perdere ma ce lo mettono lo stesso, come una lettera scomposta di un uomo che non vuoi nemmeno più sentire nominare, come uno sguardo d’intesa di una persona che ti piace poco, ma si fa finta, siamo grandi. Come il sorriso di circostanza quando ti offendono nel profondo e non lo sanno nemmeno, come i tributi ai morti che sono stati meschini, come una passione che ti lascia lì, senza dare segnali premonitori, come un marito che cambia quando la moglie si allontana. Come chi urla di prima mattina, o parla in viva voce al telefono mentre si cammina nel bosco. Come il malmostóso che ti accusa di non capire, di non accogliere, mentre affoghi nell’acqua dei piccoli, grandi dolori familiari, quelli che si sussurrano perché fa vergogna. Brutto, come chi pensa a sé come se fosse molto importante, molto rilevante.

Bello, come la coppetta di gelato da un euro. Come le unghie sudice dei bambini in estate. Come quando ti siedi accanto e non dici nulla, per ore. Come lo sguardo di chi incontri mentre corri: l’affetto, il tifo, la preoccupazione. Come i pesci, che navigano così bene nell’acqua senza mai chiedersi cosa sia, come chi permette che le cose accadano senza metterci la zampa, per vedere come va a finire. Come la mano che ti carezza la testa, una sola, quella della mamma, che parla mille lingue e due galassie. Bello, come trentasei files vocali con la voce della bimba, che deve avere trovato un pulsante, anni fa, salvandoli in una cartellina di sistema. Bello, come lo stomaco che fa le pieghe libero, nel letto, la notte. Come l’acqua molto gassata. Come chi ha rinunciato ai superlativi. Come chi si prende in giro con bonario affetto, ma ha imparato piano piano a non farsi fare male. Come chi è forte coi forti e tenero coi teneri, e non il contrario. Come lo sguardo felice del cane quando rientri in casa (o degli avventori quando entro nei ristoranti). Come le cose inaspettate ma anche i momenti fondanti della nostra memoria che non si ripetono. Bello, come il rosario fosforescente che mi porto in borsa, così, tante le volte mi viene voglia di pregare, parto in vantaggio. Come le mie scarpe nuove per correre, così a sera mi fanno male solo (tutti) i muscoli ma i talloni no. Come i capelli che mi stanno ricrescendo e cosa mi viene in mente di tagliarli ogni tanto, non lo so. Come le sfide che si perdono, che sono più divertenti delle altre. Come quelli che al ristorante sparecchiano prima che arrivi il cameriere e che nei bagni pubblici puliscono prima che rientri il responsabile. Come la fortuna di non dovere mai vedere qualcuno sprofondare nell’oceano della follia, troppo freddo per graziarci, troppo basso per non lasciare le nostre sagome a vista, sul fondale. Bello come il mondo, la galassia, i buchi neri ed il tempo che passa come l’acqua fra le mani, come le promesse degli amanti e le buone intenzioni della notte dopo i bagordi. Come la rivoluzione che si deve fare ogni giorno per rimanere vivi dentro – e la gentilezza che si deve usare quando ci riesce.

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Juanita de Paola vita piccola

Corro e penso ai baci

Se qualcuno mi chiede a fine anno cosa è successo di nuovo, gli dico che ho perso molta della mia paura ed iniziato a correre – qualche chilometro, a gambe divaricate per non strusciare le cosce, con i calzini rosa rinforzati, uno spettacolo grottesco. Non ho fiato, forse per le sigarette o forse perché non sono fatta per lo sport. Corro e penso ai baci, come se avessi sedici anni: mi abbraccerò con qualcuno, di nuovo, sul prato, sperando che non duri? Oh, il sadismo mortifero dei rapporti a lunga gittata, le aspettative tradite, l’affaccendarsi, la vita straziata dall’assistenza a titolo gratuito che una povera donna deve fornire in questo secolo strambo per fare parte della tribù – sei stata brava anche tu? No, non per me. Non per me la spesa fatta in due, uno ai detersivi e una al banco formaggi, ma la montagna scalata sotto lo sguardo benevolo di un amico innamorato, o la televisione per quattro giorni con il caffè americano, i crackers piccanti ed il turbante a contenere i capelli annodati, poi ci vediamo presto, quando?, presto. Sono diventata una teppa, vivo nell’anticamera della solitudine eterna, con troppe abitudini, cani, tazze e autoabbronzante.

La paura, da quando non ho più nulla, se n’è andata e spero che non torni. Non possiedo il mio tempo libero, dedicato ad una creatura cui guardo come i fiori al sole ed un’altra che è una punizione adeguata ad una vita precedente di omicidio e cannibalismo. Non ho una macchina, non ho una casa, ho tre pantaloni e due magliette, un paio di stivali lisi e un giacchettino con le maniche che si allungano, così sta anche legato in vita come una gonnellina. Non posso prendere uno zaino e andare a camminare in China, ancora, ma il 2026 non è così lontano.

Ho sognato questo ragazzo, elegante con la sua camicia aperta e la pancia tonda e soda, che mi piace tanto. Avevamo le mani intrecciate dietro la (mia) schiena, il salotto era pieno di persone e nessuno sapeva: era una sensazione così bella che mi porto il ricordo addosso da due giorni. Sono ridicola? Forse sono ridicola e grassa. Poi mi sono fermata sulle scale di pietra a fare micio a quello con gli occhi azzurri che mi chiama morina, ma non era un sogno, mi pare. Appena si è alzato sono corsa via, sia mai che si passi da una tenzone a una cena, poi un’altra, poi la reversibilità e la morte.

Posso rimanere qui, appiccicata alla tastiera, senza nessuna competenza che non sia lavorativa, in attesa di quelli che mi somigliano? Penso di si, fino a che la vita non venga a riscuotere conti seri di quelli che ti scavano l’intestino solo a pensarci, fino a che la salute e la musica ci accompagnino – o almeno, lo spero.

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Più a lungo possibile

Io adoro l’inverno per la sua atmosfera sospesa. È la stagione che custodisce tutti i corpi nei maglioni di lana, i fiori e i frutti nella terra, i paesaggi nella nebbia. Ci permette di stare, senza nessuna frenesia di azione. In inverno è lecito non avere niente a cui aspirare e non accorgersene nemmeno. D’inverno il mio mondo finisce dove il mio sguardo miope mi permette di vedere. Spero che duri più a lungo possibile.

Eva Meshia Bendinelli,  nata e residente a Pistoia da 35 anni, dove fa con passione l’odontoiatra, ma vorrebbe fare la danzatrice orientale. Vive con 4 gatti e 1 fidanzato paziente. Non potrebbe vivere senza poesia, sesso e musica, odia avere scadenze e la tovaglia storta – Suo il post su Facebook, Mercoledì 30 Dicembre 2015 –  Il Ministero delle Dispari Opportunità ospita donne (e uomini che parlano di donne) in gamba, illuminate, buffe, arrabbiate, sulla via del miracolo che è oggi una vita piena vissuta da donna. Qualche volta ospita anche i pensieri personali di Juanita.