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Fzzz, fzzz, aggiustare la frequenza di ascolto.

juanita

Quel monumento alla femminilità che è la mia amica P passa il fine settimana con me. Non credo che riesca a capire la gratitudine che provo dalla mia faccia sempre seria sotto l’abat-jour, o dai miei silenzi, o da nessuna delle mie espressioni fisiche, ma vorrei che mi si accendesse una spia in testa sotto la scritta io sono felice che tu sia qui, vorrei – e credo che sia chiaro – che capisse come è unico stare zitti fra umani, quale livello di intimità e affetto richieda la convivenza allegra senza parole. Mi racconterà dopo cena di quanto si stia immolando per il suo uomo, le racconterò di una delle saghe a scelta: lavoro, famiglia di origine, famiglia di elezione.

Durante la discussione io penserò che è matta a rimanere ancorata in una situazione come quella, mentre lei mi guarderà chiedendosi cosa ci faccio ancora qui se il mio fidanzato, il padre di mia figlia, vive in un’altra Nazione. Non che le risposte importino davvero, bisogna scavallare i vent’anni di amicizia per capire che esistono luoghi franchi dove si ha il diritto di rimanere le ciofeche che siamo. Non ho amiche che a quarantanni vanno in discoteca, e mi dispiace: vuole dire che ho compiuto una selezione senza nemmeno accorgermene, rastrellando persone che mi somigliano – l’inizio della vecchiaia. P ne ha, però, e questo è un buon segno se è vero che l’osmosi o la proprietà transtiva esistono.

Più di tutto ho imparato ad amare le persone che fanno scelte (per me) imprevedibili con onestà di cuore e di parola. La mia giornata è ormai uno sforzo continuo per spiegare cosa sto facendo e perchè – dove sto cercando di arrivare e il supporto che richiedo per farlo – a chi mi sta attorno: è importante non lasciare zone buie, a meno che non si stia parlando di Vizi Salvifici Che Pratichiamo Nascondendoci Da Noi Stessi, luoghi in cui la mancanza di chiarezza generi sofferenza, senso di abbandono negli altri. Specialmente se questi sono persone che dovremmo amare.

Ascolto P disattivando il mio senso critico, aprendo le porte negli orecchi e chiudendo il cancello in bocca, per non generare riscontro. La ascolto, provo almeno, indossando le sue scarpe: è importante entrare là dentro, nella sua scatola nera, per capire cosa mi sta dicendo e perchè. Non vorrei di nuovo ritrovarmi a misurare una strada di un miglio con un righello da venti centimetri, il mio, per accorgermi che la giornata è finita e non ho nemmeno la certezza che il righello sia tarato alla perfezione. Meglio una misura approssimativa, diciamo, a suon di piedi che cercano di stare allineati – e con P è difficilissimo, perchè lei ha il femori lunghissimi.

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And the Oscar goes to.

Juanita

Mando uno dei miei messaggi che vengono dal centro sensi di colpa. C’è una muscolatura poco simpatica dentro di me che fa un unico sforzo: attirare esseri umani e le di loro confidenze presso di me. Se faccio un colloquio di lavoro, indipendentemente che sia dalla parte dell’intervistatore o dell’intervistato, l’altra persona mi racconta tutto. Sgrana gli occhi in senso di sorpresa, ma sono io quello che sta confessando di avere lasciato il passato incarico perchè mi sono accoppiato alla stagista? Oppure. Sono io quella che parla di karate come disciplina esistenziale dopo che mio marito è scappato di casa? Immagino le loro riflessioni, dopo.

Eppure, là sotto, esiste un recipiente pronto a ricevere la confidenza e archiviarla, per poi non mai più parlarne. Una scatola grata. Ogni volta che il coperchio si alza inizia una nuova vita, fatta delle luci in cucina di qualcun altro, del suo dolore o della sua gioia e non dei fatti miei: grazie, allora, per avermi distratto dalla mia personale boccetta di mediocrità. Certo, qualche volta vorrei essere sordomuta. Il centro mi manda un’allerta e mi ricorda che mi sono sbilanciata verso questa creatura di magnifica fattura e il suo altrettanto splendido metà, dopo una bella chiacchierata, dicendo loro che mi sarei presentata presso qualche posto, per bere un caffè. Un caffè americano, non un bicchiere di vino perchè ora mi sono privata di tutti i piaceri della vita. M’è venuta così.

Sono passati due mesi e ancora non ce l’ho fatta: la loro purezza, bellezza fisica, mi annienta. Il fatto che non si levino le manine da dentro le manine, che siano geneticamente stati premiati nella vita e che, oltre a questo, siano stati benedetti da grande ricchezza, mi lascia lì come la prima volta che capisci che non è comprarla la casa, che ti leva l’animo, ma mantenerla in piedi. Non che io lo sappia di preciso, io non possiedo per non essere posseduta – Dove la parcheggio? E chi la pulisce? E dove custodisco le pietre? Non fa per me. Piuttosto, partiamo domani per un anno, guarda dove sono i passaporti.

Stanotte pensavo a lei, che sembra un angelo. Ma anche un diavoletto perchè ha le fossette. Che ha gambe lunghissime. E a lui, che sembra la bella copia di James Franco. Pensavo a loro, al loro senso dell’autunno chiusi in casa a fare i porcaccioni col permesso dei genitori tutti, perchè ora sono una famiglia. Ripensavo a lei a quando mi ha detto ma il caffè prendiamolo in villa da me. Non era da te, prima, ma ora è tuo. Perchè gli uomini ti concedono tutto purchè tu arrivi al momento giusto o nulla, anche, se si sono stufati. Ma ora è tuo. E allora goditelo, e domani vedo di arrivare. Perchè tu non c’entri nulla con la mia storia personale e sei un fiore. E quanto sono meschina a pensare sempre a me, solo a me, a cosa mi è successo. A perchè me l’hanno fatto. Il punto è questo: probabilmente, mentre lo facevano, a me non ci pensavano nemmeno – ed è questo il pensiero forse più indigeribile.

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Un solo modo per arrivare lassù.

Robin Roberto Ciasca

Da piccola non perdevo una puntata della saga fumettistica di Dago, una creazione di Robin Wood e Alberto Salinas che è titanica per contenuti e disegno. Dago è l’uomo ideale, con la sua bellezza ruvida, l’onestà brutale e soprattutto la sua evanescenza: una sera ti guarda da dietro una candela come se non ci fosse domani, il giorno dopo guida le truppe nel deserto – perchè lui quello fa, è un eroe condottiero .

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Datemi un maschio.

Nicola Mirigliani

E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale qui su Montecatini Terme: raining cats n’ dogs màa, direbbe mia figlia Mezza Pinta che parla l’inglese come gli immigrati di Brooklyn. D’altronde suo padre viene dall’Ohio e io nacqui chez Livorno. Sarà che è Lunedì, sarà che ormai le Miss mi appaiono anche in sogno, sarà che l’arrivo di Hoara Borselli mi ha steso definitivamente – ma è vera, dico, è umana? io ho bisogno di un uomo – da scrutare, si intende. Cerco di intercettare Nicola, capo della web-tv e specialista in dribblamento della mia sottoscritta (bellissima) persona: ha un talento particolare, come io mi paleso in una stanza lui si smaterializza e mediante i bocchettoni dell’aria condizionata si ricompone a un miglio marino da qui. Ho assi nella manica e qualche conoscenza importante qui, per esempio la barista, quindi mi apposto tutta vestita di nero nel corridoio che porta alla stanza Rai, dove sta affisso il cartellone “a nana càa macchina fotografica nun entra” con la mia foto. Passa il direttore dei lavori e tocca la colonna di ferro. Passano le costumiste e incrociano le dita dietro la schiena. Finalmente passa anche Nicola e con un sorriso a denti spiegati, tutti e venti quelli che mi sono rimasti in bocca, lo fermo hai mica mezzora per me? Mi guarda atterrito, oltretutto c’è pochissima luce. Venti minuti? Dieci? Assolutamente, risponde. Quindi andiamo al bar, dove conto di fare ottima impressione chiamando la barista per nome.

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Ubiquità. Terzo giorno.

agnese

Nel villaggio dove vado spesso a sciacquare i miei panni esistenziali – Vellano, appena sopra Pescia – c’è stato un terremoto attorno agli anni venti. Una sola persona è tragicamente morta, un uomo sposato rientrato in casa durante le scosse più potenti per recuperare le fedi, su richiesta di sua moglie. Un tempo, da queste parti, era uso infilare gli anelli in un’ampollina ripiena di acqua santa se la notte si faceva l’amore, allo scopo di mondare l’atto comunque impuro, sebbene fra marito e moglie. Quando il terremoto è arrivato gli abitanti ce l’hanno fatta a correre fuori dalle case in tempo, ma il nostro eroe è rientrato, perchè la moglie lo ha pregato di andare a riprendere i suggelli del loro matrimonio. Detto fatto – e fine dello sfortunato consorte, nel modo più romantico possibile. Me l’ha raccontato Publio e io ci credo, perchè lui sa tutto di questo posto, ha la barba ed è alto circa sei metri.

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Fammi più brutta, ti prego. (Se insisti).

Juanita

Sono stata ingaggiata (e blindata) da una signorina famosa che vuole tornare in auge lasciando da parte la sua immagine di bonacciona e utilizzare l’altra sè – qualunque essa sia – e che legge il blog. Una missione a me congeniale, che mi dispiace solo perchè non ne posso parlare con sorella numero uno, alla quale affido i miei pensieri per farmeli rendere in ordine. Lavati e inamidati. Il problema della bella figliola in questione è che vuole una possibilità per dimostrare di non essere semplicemente un guscio magnifico ma di essere capace anche di pensieri, parole, opere e omissioni.

Esattamente il mio opposto problema, che più vado avanti e più penso di essermi persa qualcosa per la strada: cos’è che mi ha impedito di fare tennis? Perchè non ho bevuto succhi di frutta? Perchè non sono stata più leggera, in tutti i sensi? Mi piacerebbe ora, dico la verità, avere un passato di femminilità esercitata invece che analizzata. Quindi ora vorrei io potermi permettere una beauty-coach, una che mi si piazzi in casa e mi dica ma che cosa stai facendo, ti radi le gambe nel lavandino? Oppure che controlli i miei pasti, che mi spinga a mettere il balsamo, che mi porti dall’estetista a farmi piedi, mani, gomiti. Invece niente. Sono io a fare le raccomandazioni.

La mia cliente non ha assolutamente bisogno di me, ho provato a spiegarglielo. E’ come quelli che vanno dal dietologo per sentirsi dire mangia meno, dico, mica ci vuole un dottore. Solo che il farsi umiliare nella propria condizione di debolezza è l’unica partenza possibile per elevarsi, migliorare – in qualunque campo. Quindi partiamo proprio da questo elemento: le ho chiesto di tirare fuori tutto quello di cui si vergogna lasciando da parte gli aspetti fisici che sarebbero assolutamente pleonastici, data la sua conformazione. Ci sono volute due ore al telefono per riuscire a scovare il suo primo angolo nero – sono vendicativa. Ma questo non è un difetto, questo è un comportamento. E’ vero, mi ha detto, e c’è rimasta un pochino male. Ci siamo fermate lì, il (suo) compito della prossima settimana è mettersi allo specchio e cominciare a separare la conformazione dal comportamento. Non so dove stiamo andando a parare, io non mi assolderei mai, ma lei mi è sembrata felice.

Terminata la nostra prima sessione so che il mio compito sarà quello di investigare la sua immagine off e on-line, per allinearla alla nuova sè. Ad esempio dovranno sparire tutte le foto in cui sembra una coniglietta, posa che le viene benissimo e che, se mi venisse altrettanto bene, ma col cazzo che starei a remuginare da mane a sera su parole, opere e omissioni. Poi faremo in modo di vestirci come se ci fosse un domani. Faremo buone cose, attività umanitarie, per acquisire il glow di Angelina: non c’è rimedio, bisogna sperimentare l’altrui infelicità per diventare feconde, belle, eterne. Impareremo una seconda lingua molto bene, oltre all’Italiano, perchè bene o male i giornali vanno letti – se no poi ti portano il Tapiro. Poi allestiremo una pagina web interattiva – andremo a sbirciare i siti di Bjork e Madonna, di sicuro. Probabilmente anche quello di Sofia Coppola, se ce l’ha.

Finita la prima fase avremo creato i presupposti per comunicare, in maniera appropriata, quello che si vuole. Non ci saranno capezzoli volanti, pose da garage, bocche ammiccanti o sguardi orgasmici: ci sarà lei, punto. E lei è, come le ho detto, persona generosa nascosta nel corpo di cat woman. Nella seconda fase prenderemo lezioni di galateo, bon ton, e ripetizioni di italiano: oggi la grammatica è in mano a così poche persone che, chi ce l’ha, la usa come lo speed. Abbiamo accordato anche i seguenti acquisti: un viaggio a Berlino. La biografia di Jackie Kennedy. Un soggiorno in Toscana. Nella terza fase verificheremo se avere annullato ogni possibilità di scorciatoia erotica le avrà regalato quello che cercava: ascolto, a prescindere da quello che indossa. Nella quarta lei sarà di nuovo su un calendario col sedere in fuori e io starò facendo la dieta Pierre Dukan per vedere se mi riesce di somigliarle almeno un pochino.

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Un certo peso.

Qualche anno fa sono stata invitata a valutare un immobile di grande pregio, con parco, con statue, con vigne, con piscina di acqua di mare a sfioro, con l’elicottero parcheggiato, con le torri romantiche, con il sono system nel parco, insomma con tutto quello che uno si aspetta nella magione di un milionario che è partito da niente. L’oggetto più interessante era sicuramente il figlio, mio coetaneo, che avrei valutato più approfonditamente senza nemmeno ricaricare la mia famosa parcella oraria. Avevo appena sgravato, con un peso corporeo specifico di ottantasei chili. Ne avevo persi solo sei durante il parto: avevo approfittato dei nove mesi per rifarmi di tutte le tagliatelle mai mangiate prima, per ingozzarmi di gelato e per bere litri di coca cola. Ricordo ancora con grande gioia l’ingollare tutto, sempre, senza problemi.

Dopo un’ispezione accurata ci eravamo seduti, ci avevano dato vino bianco fresco e succhi di frutta. Per non fare vedere le braccia come cosce e le cosce come alberi ero vestita come a febbraio, con uno sciarpino che coprisse il doppio mento. Il giovane coetaneo, invece, era in magliettina bianca fina fina e jeans accomodati su terga strepitose. C’erano anche i suoi dodici figli biondi e, dopo poco, la ninfa che aveva sottratto al suo habitat naturale e sposato. La valutazione era finita nel sangue, come al solito, e non se ne era fatto di nulla – la magra consolazione è che il castello è ancora lì, e che forse avevo ragione a dire che dentro di sè, loro non lo volevano vendere per niente. Mi ero alzata sperando di vanificarmi, eppure come un pachiderma ero rimasta, fisica, ad occupare uno spazio di ottanta chili circa. Il giovane figlio mi aveva accompagnato, così come si fa con le vecchie senza denti, e aperto lo sportello della macchina. Ero sparita, purtroppo non del tutto.

Qualche mese dopo ci eravamo risentiti, il giovane aveva preso le redini di un carro che non aveva assolutamente bisogno di essere guidato e voleva che ci mettessimo in affari insieme: ero piaciuta. Daltronde donne di stazza chilometrica e con figli sono statisticamente un jolly da assumere perchè non comportano complicazioni come storiacce sul lavoro e in genere: solide di caviglia, solide di morale. Ci eravamo rivisti, a quel punto io navigavo sempre nella settantina di chili – e mi sembra straordinario ricordarmi il mio peso giorno per giorno ma dimenticare i nomi delle persone: che cos’è, una sindrome? Voleva un ufficio assieme, avevamo vagliato qualche posto, poi era sparito.

Qualche anno dopo ci siamo sentiti ancora, mi aveva invitato. Sarei dovuta andare al castello, per celebrare il suo nuovo accoppiamento con la donna cerbiatto, un esemplare di caratura ancora superiore al precedente, di circa ventidue anni. Mi avevano spedito le foto, lui ci teneva al fatto che io, e molti altri probabilmente, vedessimo quale popò di femmina si era accaparrato. Avevo declinato perchè non ho nulla da mettere in queste situazioni e perchè avrei passato la sera a piangere, a pensare a quanto sono inadeguata, a vergognarmi perchè non so attaccare discorso se non riguarda il lavoro o un passato comune.

Oggi navigo nella sessantina (chili e anni interiori). Di tanto in tanto vado su internet a cercare le foto del giovane uomo che anni fa incontrai nel castello e davanti al quale agitai due chiappe improponibili. Mastodontiche. Lo ritrovo con la cerbiatta, su qualche rivista, in qualche flickr, su Getty Images. Cerco lei, prima di tutto, perchè le forme del suo volto sono perfette e io spero che un giorno, a forza di guardarle, mi capitino pure a me. Lui ora ha i capelli striati di grigio e il naso rosso di chi ha sbevazzato un pochino troppo e veste di bianco sempre, o forse tutte le foto sono di Saint Tropez. Forse vivono a Saint Tropez, in piscina, con un sacco di gente vestita da gladiatori – quella foto lì non l’ho capita bene. Spero che lui mi chiami fra dieci anni, per allora sarò nella cinquantina, sia esterna che interna.

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Arietta pettegola.

juany

E’ andato tutto bene, stiamo tutti bene: un successo. Questa settimana nessuno si è rapito mia figlia per smembrarla in qualche campetto, l’Inglese non guida quindi non ha fatto incidenti, i miei genitori sono in salute e le mie sorelle una è al mare e una sta varando qualche campo, qualche iniziativa. Lo strozzino che mi è venuto a fare visita tramite segnalazione di un amico comune, che da ieri più amico non è, deve avere capito l’antifona e non si è fatto rivedere: per levarmi quella sensazione di unto di dosso mi ci sono volute quarantotto ore. Oppure, di nuovo, sono stata fortunata, e ha deciso di mirare a qualcunaltro. Ho saltato due giorni di ginnastica perchè ho una febbriciattola da stanchezza e cimurro starnutante, irritante, che mi gonfia gli occhi e restringe la testa.

Non ho implicazioni in appalti e non ho mai versato una mazzetta, quindi questo fine settimana non suderò freddo a pensare a quell’affare, a quelle tracce, a quell’avviso di garanzia. Non ho nemmeno uno yacht con licenza off-shore per portarci i miei amici nei venti metri che separano il molo dalla torre di comando, quindi non mi devo preoccupare di cosa farne a febbraio o della pensione dello skipper. Divido la macchina, car-share si chiama, ma ho rinunciato alla quota maggioritaria così non devo parcheggiare, così non devo richiedere il permesso. Vado in treno dappertutto e quando c’è ritardo faccio un sacco di amicizie. Oppure piango di rabbia. Mangio un toast a pranzo da anni, mille, e bevo solo vino buono dopo le sette e mezzo, perchè quell’arietta sonnolenta, pacificata, mi garba portarmela nei sogni.

Non ho cene importanti, a parte una a fine Luglio che mi dà un’ansia terribile, ma ho promesso all’Inglese: ci sarò. Non accetto inviti dai clienti o dai fornitori, per non dovere anche solo una volta mediare un giudizio ragionato. Non sono nel giro dei compleanni dei bambini chic, perchè i loro genitori arraffazzonano feste dove nessuno può smaialarsi in terra, e che gusto c’è ad essere bambini e a dover stare impediti sul parquet – quindi non ho un calendario serrato di regalini appariscenti da fare per queste magnifiche creature, i piccoli, che non sanno nemmeno cos’è un tallone o dove sta l’anima, che carichiamo di significati simbolici per poi stupirci che rubino per divertimento.

Non frequento le SPA, ma solo perchè mi sento brutta in accappatoio. Non frequento le spiaggie, ma solo perchè sono brutta in costume. Le due privazioni comportano che la depilazione di cera non stia fra le mie priorità quindicinali bensì una opzione annuale per quando ho desiderio di punirmi. E comunque la zona fronte retro non si tocca, ma siamo matti, non mi devo mica appiccicare ad un palo coperta d’olio e ballare a gambe aperte la lap. Non che non mi piacerebbe una volta, ma non riesco a toccarmi le caviglie quando sono in piedi.

Non ho un amico cui devo molti favori, quindi posso sempre dire mi dispiace, oggi non è giornata, lasciami dormire a chiunque. Non ho un ombrellone particolare dove voglio essere sistemata, anzi vicino al bar mi sta bene perchè ho sempre sete di acqua fresca frizzante, sudo moltissimo, quindi posso arrivare al mattino e prenotare un posto, a caso. Mi piace camminare, quindi la ztl cittadina del mio paesello, con l’ipotesi di poter fare camminare mia figlia senza che qualcuno me la falci, mi sembra una cosa straordinaria. Non ho la carta centurion e nemmeno la platinum, perchè Mentore numero due mi ha insegnato che al mattino bisogna sapere quanto si deve spendere, compresi gli imprevisti, e quello va portato dietro in moneta. Quindi non accumulo punti, non compilo questionari, non pago qualcuno perchè paghi qualcunaltro per darmi consigli se faccio i capricci. Meglio non fare le bizze e tenerli per una buona cena, con buon vino e buona compagnia.

Non sopporto i cocainomani, che si trascinano dietro ansie e billi ritti per i motivi sbagliati, quindi difficilmente mi invitano alle feste. Da un lato mi dispiace, dall’altro mi solleva dal dover comprare un vestitino estivo, che non so scegliere – l’Inglese dice che non saprei vestire un asino morto. Non so abbinare scarpe e vestiti. Mi metto quello che mi fa felice al mattino, cercando di rimanere rispettosa delle persone che ho attorno – non indosso il tutù quando sono felicissima. Non vado in palestra ma mi piace correre a piedi nudi.

Quindi hai ragione a dire che sono una povera imbecille, una contadina. Una che ha salito lo scalino. Una con i capelli crespi e il culo troppo grosso (largo, dici). Una che ma poi che vuoi che faccia al lavoro, guarda con che macchina di m** gira. Hai ragione a dire che sono una qualunque, anche perchè sono in ottima compagnia: conosco almeno venti persone che potrebbero più o meno stare in questa descrizione. Lascia che ti dica chi sono, queste persone: fanno spesso all’amore col marito o con la moglie – non con altri. Non stanno molto bene con un vestito da sera: vero. Ma vestono gli occhi di sorrisi. Hanno quanti figli rientrano nella famiglia senza tate a tempo pieno. Vanno al mare di martedì mattina e hanno sempre il divano impegnato da qualche amico che passa di lì. Invece di raccogliere fondi per il cancro fanno in modo che i dipendenti mangino bene, che siano ben pagati. Io non ti disprezzo anche se viviamo in mondi diversi, tu cerca di smettere di scrivere quelle cose – sei così pettegola, così cattiva. Eppure (di materiale) non ti manca nulla.

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Fai quadrare il cerchio, E. Se vuoi.

Juanita

I problemi delle donne sono più semplici del manuale di istruzioni che portano con sè – il loro peso. Le risoluzioni dei problemi delle donne sono ancora più elementari, e per questo dirompenti, distruttivi: l’amante, la dieta, i soldi. I figli – quelli che ci sono, quelli che non ci sono, quelli che non si volevano. Non sono sicura di voler mettere il marito qui, lo sposterei piuttosto sotto la categoria “sforzi sovraumani per ottemperare ai miei doveri antichi”, oppure anche quella “la mia possibilità di essere felice senza accorgermene”. Rimedio, come balsamo per una ferita, come soluzione veloce ad un problema impellente: questo non è un marito. E nemmeno un fidanzato.

Le donne si sentono minacciate dalle altre donne, e questo è un buono schema della natura – funziona. Dice che quando hai trovato il pinguino reale che siederà sulle uova mentre tu vai in cerca di pesce, devi fare di tutto per tenertelo stretto. Quindi la pinguina non accetta di buon grado, ad esempio, che un’altra pinguina discinta le stia in casa, o che il maschio lasci l’uovo allo scoperto per fare il pavone – uccelli sono comunque – con un’altra. Magari più giovane, magari meno ricca, magari assai più brutta, non importa: la quantità è maschia, e continuo a non trovarci nulla di male.

Le donne, inoltre, non sanno le regole della buona convivenza umana: inutile vendersi per un Vuitton quando si è un portafoglietto di eco pelle, o per un samaritano quando si è un imperatore nudo. La storia è quella: un universo non è abbastanza per due donne sole, a meno che una delle due non sia (più) brutta, (più) grassa o omosessuale. Negare il fatto è possibile ed allettante, ma andando a contare le amiche che si frequentano di più ci accorgeremo che sono quelle che non ci minano mai sui punti forti. Ci completano, certo, ci somigliano, ovvio, ci amano, ma non sono pericolose – quelle si conservano per un venerdì sera, quando ci si è appena lasciate.

Nel dubbio cerca di fare un esercizio, E. Mettiti allo specchio e comincia: io sono questa. Io sono proprio questa qui. Io non sono quello che so fare – anzi. Io non sono i vestiti che porto ma amo far vedere il monastero da cui provengo. Io sono io, e tu sei tu, e io ti amo molto ma occhio. Io amo le cipolle ma anche le scarpe rosse. Io sono completa come un rotondo e sfuggente come una faccia di prisma: guai a darmi una fodera sola. Io sono quello che hai cercato per anni e che ti ho concesso, con gioia infinita, di possedere. Io amo perdermi nelle notti di Cabiria, ma so tutto di tachipirina, preiscrizioni, pannoloni, orli rotti, umiliazioni e glorie istantanee. Io non so scrivere un pezzo non perchè non mi riesce, ma perchè mi annoia. Sì, mi annoia. Ma mi piace stare su un palco – e ci sto come una lampada liberty accesa in un negozio senza luci a soffitto. Io detesto l’Umbria, e sai perchè? E’ come la Toscana, ma troppo verde, troppo rustica, troppo improvvisamente florida. Ecco, ripetiti, io sono come la Toscana. Quelle sono come il Molise. Con tutto il disrispetto possibile e dovuto.