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Juanita de Paola women

Caffè. Noi. Gli altri.

juanita

Mi piace il caffè nella tazza senza il manico, così la devo stringere come le mani di un amico cui si vuole molto bene e non posso fare altro a parte bere la miscela nera –  non posso rispondere al telefono o aiutare qualcuno a fare una cosa, raccattare pezzettini di carta o girare la pummarola, che da venti anni e passa so fare solo acquosa. Il caffè ha un effetto, quindi mi piace molto. Il vino, anche, ha un effetto intorpidente, che mi piace molto. Le cose che mi garbano di più nella vita hanno tutte consequenze indipendenti dalla mia volontà: l’eccitazione, il rimanere svegli, la rilassatezza che non ha paura dello sconforto degli ospiti, il catturare immagini che poi sono diverse da quello che era programmato, la musica che entra sotto pelle e ti ricorda senza perifrasi chi sei, cosa vuoi. Se vado all’inferno, la mia punizione sarà mangiare, bere e fare cose che non abbiano effetti evidenti. La mia medicina preferita è il Toradol. Infatti.

Adoro la prima tazza di caffè della giornata, perchè so che ne buscherò molte altre: diluite nel latte e con qualche biscotto al grano saraceno, che quando lo infili in bocca diventa una mappazza da mezzo chilo: odio la pasticceria danese, tutta secca a burrosa allo stesso tempo, che mi lascia le gote vuote. Mi piace la quantità e, come ulteriore passo, la qualità – ma lo stomaco pieno mi dice più del palato entusiasta. Oggi ho il collo bloccato dalla tensione, come al solito, perchè la domenica è il mio lunedì: è il giorno in cui gli ospiti si sistemano nelle ville che affitto e gli impianti idraulici si rompono, l’aria condizionata si inceppa, tutto quello che richiede un tecnico, se può andar male, lo farà – questo nonostante collaudi preventivi e certificazioni, perchè la Legge di Murphy c’è. Il punto è che il dio degli affitti mi vuole ricordare che non esistono gli elettricisti che lavorano la domenica –  e che io non risiedo in Olimpo City. Fair enough.

Davanti a questo caffè mi chiedi se la scelta che abbiamo fatto è stata posata, se ti amo, se mi ami, se siamo certi. La verità, quella che non vuoi sentire, è che sarebbe bastato un piccolo bruscolino per cambiare tutto. Ti ricordi quando ti ho detto che andavo a dormire da Cosa? Quella sera c’era anche Coso, no non lo sapevo, e sarebbe stato anche lui un papabile qualcuno nella mia vita se non gli fosse morto qualcuno quella sera. Destino. Oppure ti ricordi quando ti ho detto che non importava che tu ci fossi? Che era lo stesso? Non era vero, ma mi hanno tirato su, sono venuta così, cerco di non forzare mai le persone: ma meno male che c’eri. La verità è l’ultima cosa che ognuno vuole sentire, pare, e quindi rispondo bene. Come tu vuoi.

Chiedimi come mi va il caffè oggi, perchè qualche volta mi piace senza latte e senza zucchero – solo se è fatto bene. Non il mio, quindi, che fa schifo. Ho preso questo da mamma, invece che tante altre cose buone: non so fare il caffè. Ma almeno lei sa fare le lasagne, e la pasta in casa, io nemmeno quella. Camminiamo in città, mano nella mano, a difendere quello che nessuno vuole attaccare a parte noi: noi. Guardiamo la piccola che ci somiglia e ringraziamo il cielo, lo so, anche se non ci diciamo niente. Mi guardi senza parlare e mi chiedi cosa c’è che non va: nulla. Tutto. Qualcosa. Non ho certezze granitiche, e nemmeno tu se non sbaglio, allora perchè mi fai quelle domande: siamo qui ora, no?

Verso l’ultima tazza di caffè, quella della sera che non mi fa dormire, e ti chiedo di potere ascoltare Silencio. Annuisci e ti metti le cuffie per ascoltare la tua musica. Certo. Peccato che abbiamo solo due salotti – ci meriteremmo un castello: adesso andrei nella mia ala a scrivere fino alle quattro, poi starei lì sperando che tu colga il segnale, che tu mi raggiunga con un pò di pane e salame più una bottiglia di vino ottimo, per passare la notte a raccontarci la verità che non ci siamo detti: ce n’è così tanta. Brindiamo allora amore mio, siamo due poveri cosi che resistono assieme con onore, nonostante là fuori ci sia quella strada che abbiamo deciso di non percorrere: la mia verso i conigli e l’orto, la tua verso il patio bianco. Identiche sono. Identici siamo.