C’ è un sistema pratico efficacissimo per allontanarsi da qualunque tentativo di intraprendere un cammino di fede, e questo è farsi una chiacchierata con una suora o un prete di media caratura. Purtroppo è impossibile andare a trovare un gesuita, così, il pomeriggio, e porgli dei quesiti impropri – perchè io no e loro sì? – sperando di vedere quella luce negli occhi che viene dalle sfide più salienti. Come pure è difficile sapere dove trovare una santa – ne ho conosciuta una anni fa. Emanava un affetto tale da volere passare il resto della vita in quel grembo secco e modesto. Quindi ci si ritrova davanti qualche uomo pieno di forfora e un alito di cantuccino che schioderebbe un’abside dal terreno, o una femmina di crotalo, pingue, incattivita contro le gonne, le cosce, le guance rosa, l’ombretto azzurro, i capelli cotonati, tutto quello che è allettante quando sei piccina. Tutto quello che sarebbe eliminabile prontamente con una sola lettura di Vogue, altro che anatemi.
Certo, la pratica di associare le persone alla fede è vacua, quasi vile: di Dio si tratta, mica di uomini. Si ma allora. Discutere di fede o di politica è pratica che riscalda gli animi e non porta quasi mai a nulla, fatto sta che la fede la mastica meglio chi non sa parlarne, certe volte, di chi ci scrive i trattati. Dunque Suor F si affaccia e bussa alla porta della mia amica G, deviata – le piacciono le donne, mica gli uomini. Si avvicina con fiato di menta, come chi non fuma, e salsiccia. Le brandisce le mani con dolcezza, come si fa con i morti all’ultimo saluto, e comincia a spargere il suo veleno: è vero che, ma è possibile che, ma tu sai che l’amore di Dio, ma l’uomo con la donna e la donna con l’uomo, e così via. Persino il mio animo pacifico comincia a rovesciarsi in preda all’ira, quella dantesca, al mio cervello arrivano parolacce e bestemmie, quasi, che trattengo. Sto zitta. Mi brucia la faccia.
Devo sempre pensare a un ruscello e una cascata per placarmi, quando sento dolore. O alle punte degli alberi che si muovono con il vento. Ci penso e provo a chiudere le orecchie per non sentire un ultimo atto di violenza contro G, persona rispettabilissima, che molto ha sofferto per arrivare alla decisione di amare chi si sentiva di amare. Suor F, tracagnotta, di polpaccio largo e denti inconocchiati, chiude gli occhietti a maiale, strizza l’espressione in segno di disappunto. L’intensità è di quelle da buffet coi crostini vecchi di due giorni. Di torta con lo zucchero risicato per la festa dei bambini poveri: mai la panna, non se la meritano, sono poveri. Solo le cose necessarie, ai poveri. Non si spreca nulla delle vite altrui.
Mi placo piano, perchè non ho il diritto di saltare alla gola di un interlocutore che non è il mio. G dice a Suor F, che sembra Maradona col velo, che la perdona. Che non sa quello che dice. Che la sua fede è qualcosa di prezioso, da tenere nascosta da quelle come lei, bigotte e pure brutte. C’è di bello che G è in controluce, un raggio le illumina e ingentilisce le guance mentre calma calma spiega la sua vita all’ombra dell’amore. L’altra è controluce, inscurita come un diavolo livido, e mi sembra una nuova annunciazione dove peccatori e santi si sono scambiati i vestiti. Poi mi immagino Cristo che, una volta tanto, non ha da pigliarsi le preghiere di un marito fedifrago per tenersi la moglie, o agire nel derby Pisa Fucecchio per fare sì che il giovane Michele faccia canestro, me lo vedo girarsi verso il basso, accarezzare la mia amica G con una mano ruvida, capiente, larga, e girarsi verso Suor F per dirle ma stai zitta cicciona.