Categorie
Juanita de Paola

Salvati con un calcio

Ad un certo punto abbiamo affittato una casa enorme.

A me piaceva perché avevo spazio per nascondermi, la stanza della servitù dietro l’acquaio in cucina con il suo bagno rosa acceso e la porta nascosta, e una dispensa dove rinchiudersi in caso di assassinio imminente. 

Categorie
vita piccola

Storielle rock’n roll

Quello che mi interessa sono le storie che ruotano attorno alle storie. Ad esempio. Per una superstella che entra al Ritz, c’è una persona addetta alla sua vestizione che ci passerà una decina di ore assieme. Con questa, spesso, ce n’è un’altra che salta da un temp (lavoro a tempo molto determinato) ad un altro e che quella giornata deve semplicemente caricarsi dieci vestiti di scena in spalla portandoli, incellofanati, in camera di qualcuno. Che poi è la superstella.  

Categorie
Juanita de Paola women

Sulla panca che scotta

Stap. Glup glup glup.

Così il vino ancora stranamente bianco a Ottobre, ma qui fa caldo, fluisce dalla bottiglia nel mio bicchiere a fine giornata – nove, dieci, undici ore di immersione totale nel mio mondo: lavoro come un cane, di solito, per non lasciare molto tempo al vacare. Il nonno mi diceva che siccome era stato svogliato gli era toccato studiare tutta la vita, e io penso di essere di quella specie lì, ma anche per il lavoro.

Il primo bicchiere per lavare via la giornata, il secondo per fare posto ai pensieri che durante il giorno mettiamo nei cassetti delle persone perbene, il terzo non si può anche se si vorrebbe.

Lavoro parecchio, oltre il limite della concentrazione, oltre l’educazione di essere in una famiglia di esseri umani che desiderano parlare, fare confusione, buttare imprevisti nel mezzo: io li odio, gli imprevisti, dai tempi del Monopoli. Parlo pochissimo. Odio le vacanze: mi è rimasta la forca, quella sì, dare buca ad un appuntamento mi dà ancora un piacere così acuto.

Ho le cuffie nuove ad alta fedeltà, così la mattina, dopo avere accompagnato la piccola creatura che è il sole dei miei giorni, posso camminare sul fiume ascoltando le cazoni al volume esagerato con i bassi a palla. Pensare che io i bambini li sopporto poco, ma quella lì, la Cecilia, è tutta un’altra storia.

Ho preparato due liste di canzoni per sfondarmi le orecchie, una si chiama “sul fiume nei giorni di pioggia” e una si chiama “sole”. Perchè io abito su un’isola, e tutto cambia se piove o no.

Chi non sta in Inghilterra pensa che il problema sia la pioggia, ma non è così, anzi: qui, quando piove, si può uscire senza ombrello. E’ un’acquetta educata e fine fine, che manco ti bagna. Non è come quando il trenta di agosto ti piglia la pioggia in Toscana, che ti devi mettere davanti al fon, alla stufa e sotto un calorifero per riprendere colore. No, non è l’acqua, ma la luce: è storta. E’ più bassa. Hai presente quando con il tuo fidanzatino le prime sere ti ritrovi ad ascoltare la musica in camera e tieni accesa solo l’abatjour? Ecco, la stessa cosa, ma tutta desaturata.

Domani c’è un playdate dopo la scuola, cioè la bimba deve andare a casa di qualcuno perchè così dicono a scuola, per socializzare. Io ho individuato la casa dove va e anche una panca lì davanti, dove aspettare – senza destare sospetto – per tutta l’ora.

Forse domani ricomincio a fumare.

Categorie
vita piccola women

Nella vecchia fattoria

Juanita de Paola

Nei miei piani del futuro prossimo c’è quello di aprire una fattoria, abitazione e scuola, con le galline e se mi piglia il coraggio qualche bel maiale. Una rete wi-fi così sostanziosa da potere alimentare i frigoriferi, certo, e attrezzature informatiche dure, soffici, volatili all’avanguardia. L’importante è che la musica esca con i bassi, amo i bassi che mi rimbalzano sulla pancia – tutto il resto arriva secondo.

Mi dedicherò al marketing ma anche all’orto, non nel senso che tiro su i pomodori ma che li colgo e li affetto e li mangio. Magari posso anche innaffiare una o due volte al mese, ma l’atto pratico ripetitivo mi annoia a morte, quindi è bene che altri si dedichino al verde. Io, piuttosto, arrotolo i cavi.

Continua qui. 

Categorie
aesthetic women

Un solo modo per arrivare lassù.

Robin Roberto Ciasca

Da piccola non perdevo una puntata della saga fumettistica di Dago, una creazione di Robin Wood e Alberto Salinas che è titanica per contenuti e disegno. Dago è l’uomo ideale, con la sua bellezza ruvida, l’onestà brutale e soprattutto la sua evanescenza: una sera ti guarda da dietro una candela come se non ci fosse domani, il giorno dopo guida le truppe nel deserto – perchè lui quello fa, è un eroe condottiero .

Continua qui.

Categorie
aesthetic women

Datemi un maschio.

Nicola Mirigliani

E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale qui su Montecatini Terme: raining cats n’ dogs màa, direbbe mia figlia Mezza Pinta che parla l’inglese come gli immigrati di Brooklyn. D’altronde suo padre viene dall’Ohio e io nacqui chez Livorno. Sarà che è Lunedì, sarà che ormai le Miss mi appaiono anche in sogno, sarà che l’arrivo di Hoara Borselli mi ha steso definitivamente – ma è vera, dico, è umana? io ho bisogno di un uomo – da scrutare, si intende. Cerco di intercettare Nicola, capo della web-tv e specialista in dribblamento della mia sottoscritta (bellissima) persona: ha un talento particolare, come io mi paleso in una stanza lui si smaterializza e mediante i bocchettoni dell’aria condizionata si ricompone a un miglio marino da qui. Ho assi nella manica e qualche conoscenza importante qui, per esempio la barista, quindi mi apposto tutta vestita di nero nel corridoio che porta alla stanza Rai, dove sta affisso il cartellone “a nana càa macchina fotografica nun entra” con la mia foto. Passa il direttore dei lavori e tocca la colonna di ferro. Passano le costumiste e incrociano le dita dietro la schiena. Finalmente passa anche Nicola e con un sorriso a denti spiegati, tutti e venti quelli che mi sono rimasti in bocca, lo fermo hai mica mezzora per me? Mi guarda atterrito, oltretutto c’è pochissima luce. Venti minuti? Dieci? Assolutamente, risponde. Quindi andiamo al bar, dove conto di fare ottima impressione chiamando la barista per nome.

Continua qui.

Categorie
aesthetic women

Ubiquità. Terzo giorno.

agnese

Nel villaggio dove vado spesso a sciacquare i miei panni esistenziali – Vellano, appena sopra Pescia – c’è stato un terremoto attorno agli anni venti. Una sola persona è tragicamente morta, un uomo sposato rientrato in casa durante le scosse più potenti per recuperare le fedi, su richiesta di sua moglie. Un tempo, da queste parti, era uso infilare gli anelli in un’ampollina ripiena di acqua santa se la notte si faceva l’amore, allo scopo di mondare l’atto comunque impuro, sebbene fra marito e moglie. Quando il terremoto è arrivato gli abitanti ce l’hanno fatta a correre fuori dalle case in tempo, ma il nostro eroe è rientrato, perchè la moglie lo ha pregato di andare a riprendere i suggelli del loro matrimonio. Detto fatto – e fine dello sfortunato consorte, nel modo più romantico possibile. Me l’ha raccontato Publio e io ci credo, perchè lui sa tutto di questo posto, ha la barba ed è alto circa sei metri.

Continua qui.

Categorie
aesthetic Juanita de Paola women

Primo giorno di Avvento.

Patrizia Mirigliani

Primo giorno dall’Avvento delle Miss e decimo dalla costruzione del totem di ringraziamento del mio amico R, abitante di Montecatini Terme, il quale non ha mai visto così tanta grazia tutta assieme. La cittadinanza aspetta che le bimbe sfilino qua e là con la stesso malcelato entusiasmo di chi ha fatto sei al superenalotto e non lo vuole dire ai parenti. Fremiti di emozione, gente che casca di bicicletta sporgendo il collo, insospettabili con macchinette digitali che spuntano dalle tasche, chè non si sa mai. Il vantaggio inatteso del Concorso dei Concorsi, quello per incoronare la ragazza più bella che ci sia, è che basta infilarsi un vestitino frou-frou camminando downtown, un paio di tacchi e tutte le teste si girano – per vedere se è lei, se è una sola, se sono tutte. La popolazione delle donne con giro vita superiore al torace ringrazia, sentitamente, sperando nell’osmosi fisica.

Continua qui.

Categorie
aesthetic Juanita de Paola vita piccola women

Ostaggio.

brufolazzi

Sono ostaggio di mia figlia Mezza Pinta – ovvero della banda di adulti che qui sono impegnati ad asservirne i desideri. E vuoi i cartoni? E tesoro vuoi che camminiamo fino al parco? E ciccina ti andrebbero le pizzette sulla griglia e il gelato al caramello? La bambina, bersagliata di domande e offerte, è completamente rincorbellita e piange ad ogni schioccare di dita. Mi odiano tutti, in genere, ma oggi di più perchè ho fatto saltare la piscina alla fanciulla, povero cuore: avevo voglia di ronfare sul divano, sudare, appiccicarmi i capelli sulla guancia. No guys, I don’t want to go to the bloody pool, it’s my f** holidays too. Rivendico il diritto di essere una creatura spregevole, che antepone sè stessa al rinfrescamento della figlia, per una settimana all’anno.

Per dimostrarmi continuo disappunto, a turno hanno chiamato la signora della piscina, no we can’t come, sorry, con lo stesso tono dei piloti di Enola Gay – yes, we are bombarding in ten, nine, eight. C’hanno il muso. Hanno praticato musica anni ottanta per il pomeriggio e acquietato la mia adorata Radio Toscana Classica, che quassù si sente con 93 punto qualcosa. La bambina, forte del supporto di cento maschi che non se ne fa uno perbenino a mescolarli assieme, mi ha parlato tutto il pomeriggio e mi ha riempito di bacini, leccatine, pizzicotti e tutto quello che serve a disturbare la visione di National Geographic “Zanzare Tigre contro Ciabatte di Suora”. Uno ha persino fatto finta di andare a fare la spesa ed è andato alla piscina, probabilmente per dire che razza di maledetta sono.

Si rompono le amicizie per i bambini, che diventano nano estensioni delle nostre peggiori abitudini: quello che salta a tavola, quella che urla e va accontentata, i gemelli che dipingono le mura degli altri coi pennarelli. Piccoli re senza trono ma con un sacco di trombette. La mia povera figlia, cui viene impedito di annoiarsi e creare qualcosa col suo cervellino. La figlia della moglie di Coso, la cui maleducazione è superata solo dalla voglia della madre di sistemarsi nell’alta società. Il figlio di Cosa, che tira i pugni a me e agli altri bambini, mentre la mamma con tono mellifluo lo redarguisce col sorriso.

Bambini che hanno finalmente il diritto di fare quello che a noi non è stato concesso: masticare cingommi di un chilo, alzarsi e rialzarsi dal tavolo, urlare, fare i capricci. E noi, bamboccioni, dietro a questi nani malefici cui è stata regalata la triade dei desideri di Aladino – Avete il menù bambini? Signora, siamo in Toscana, i bambini li tolleriamo purchè mangino il cinghiale. Mi spiace, oggi niente piscina. Sono disposta a sorbirmi l’ostracismo e il malumore, persino la play list dell’Inglese. Quello che proprio non potrei tollerare da viva, è vedere la trasformazione della piccola bambina in un grande problema con la frangetta. Metti in fila, baby, queste sono le vacanze della mamma.

Categorie
aesthetic Juanita de Paola women

Diario di Miss Italia

juanitaIl blog del Ministero si sposta su Miss Italia, per un pochino. Il tempo di investigare fanciulle, futuro e madri con bigodini in mano – speranze di corone, delusioni micidiali, gioie imperiture e lo sbirilluccichio della pazza idea: seguire Martina, Federica, Denny, Adriana, Anna. Sophia.

Categorie
vita piccola women

Pùm.

Ci metto un minuto a ritrovarmi lì dove mi hai lasciato. Ritengo questo un privilegio, un errore magnifico del mio cervello e un dono per questa vita qui, quella da Juanita che lavora come un calvinista ma pensa come un messicano obeso. In questo turno mi è stato affidato un corpo tutto sommato gradevole ed una faccia espressiva, purchè io non sia accigliata e allora sembro mio padre con un mocio in testa – mio padre è un bell’uomo, ma non è punto una bella donna. Quindi io sono sempre qui, me ne accorgo perchè quando ti rivedo te sei diverso e io sono quella di prima. Per farti un esempio: se tu mi chiedessi qual è la scultura più bella d’Italia come facevi di notte davanti alla chiesa in piazza, quando mi guardavi ed ero abbastanza per tutto o per niente, io ti risponderei senza esitare “Emicrania”, che è quella statua al Galluzzo sotto la quale io e te abbiamo cantato (?) e suonato tutta la musica possibile. Tu, non te la ricordi, io lo so. Ogni tanto la chiamavamo “Lunedì”. Ci vediamo all’Emicrania.

E io arrivavo coi tacchi, ci mancherebbe altro, sull’asfalto malefico fiorentino – che non mi è mai appartenuto – con un cappello a tesa larga per farmi notare il più possibile. (E il poncio d’Inverno). E il vestitino bianco d’estate, quello con le maniche  a sbuffo appena accennato – Mezza Pinta dice, mamma quelle sono eleganti, non quelle corte. Cambiati mamma. Poi ci dirigevamo in una direzione pericolosa, che non avremmo dovuto camminare, e si rideva come pazzi – ma di cosa poi. Ma l’eccitazione, la gioia pura, quello io ce l’ho scritto ancora qui: eravamo il popolo eletto, i due che avrebbero ricreato il genere umano partendo dalla citronella. Non è successo, ci siamo ritirati tutti e due senza infierire, senza inventare: basta così? Basta così. Si può dire di tutto, ma non che si sia stati pavidi, o volgari. Noi con lo schiocco di un dito ci siamo annoiati e dimenticati.

Non avrebbe resistito quella cosa ad una routine di tre per due, fidaty card, iscriviamo la bimba qui, no lì, no cattolica, no stilita. Quella cosa, a dire la verità, non avrebbe nemmeno dovuto varcare la cucina: per continuare avremmo dovuto comprare un attico mansarda senza aree comuni, con una vasca coi piedini e molto spazio balcone con le piante sconnesse, disordinate: solo un popolo geniale come quello inglese poteva inventare un giardino che si bea della sua sporcizia. Non saresti piaciuto a mio padre, questo te lo posso sottoscrivere, per via della tua abitudine a vestirti come una checca – pare che questo sia un tratto per me attrattivo.

Insomma ti sposi. Insomma ti sposti. Torni nelle materne terre mallevadrici, nella bifamiliare rosa. Mamma sotto e te sopra, così come nei di lei sogni reconditi. Si somigliano un pochino le due, parecchio a dire la verità ma te ne accorgerai a breve, non ora che sei ancora accecato dall’idea che sia possibile cominciare da zero dopo i dodici anni. E che male c’è? Nessuno. Solo che te non ricordi, che una sera, sotto “Lunedì” io e te, con la chitarra in mano, abbiamo guardato due disgraziati passare ed essere brutti, con lui che blandiva la belva feroce che aveva al fianco – e più lui guardava in giù, e più lei sibilava come un’aragosta nell’acqua. E tu mi hai detto “se divento come quello sparami”. Eccomi. Pùm.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola

Quel che pare a noi. Non a voi.

Juanita

Avete registrato il mio accesso alla Redoute, una specie di postalmarket dove vado a vedere che vestiti stanno bene alle persone, magari immagino di comprarli – poi non ho voglia. Avrete registrato anche il mio accesso su Holy Moly, quel sito di gossip, e poi al Corriere. Immagino che il cookie, il biscottino, di YouPorn sia stato depositato nella memoria storica del browser, anche: ero certa di avere visto quella cameriera bionda da qualche parte, e la troverò. Ci potrei scommettere milioni e milioni di euro. Non che io abbia poi voglia di scriverne, non mi interessa quello che fanno le donne con il loro mezzo, salvo quando poi ricoprono cariche ministeriali per cui non sono preparate. Ma solo perchè non sono preparate: credo nella redenzione continua, nella capacità dell’uomo di rigenerarsi una volta al giorno, figuriamoci se mi lascio impressionare da qualche marchetta.

Avete messo un segnaposto anche su Template Monster: è lì che vado a vedere come disegnano ora i web guru quando hanno da rappresentare viaggi, foto, altro. Non lo faccio più, ma mi dispiace parecchio. Sono sicura che avete preso il calco delle mie orme su You Tube, nell’area dei tutorials in cui si impara a riprodurre Jill Scott. Non so se registrate i giri che mi faccio sulle foto degli altri su facebook, ma se io fossi in voi lo farei: quale occasione commerciale più ghiotta di me che vado a controllare le foto in costume e dei matrimoni di tutti quelli che le mostrano. Chissà che capitale si può fare su di me che mi metto al piano e provo a fare quel si bemolle nona settima quarta undicesima sotto sopra. Chi lo sa quali ricchezze spropositate può ottenere una società imparando che amo guardare il sito di Sartorialist fino a che mi ricordo tutto, fino alla nausea, per cercare di capire l’arte del colore che si abbina con le scarpe: non compro nulla, niente, non mi interessa. “No grazie, non mi interessa. Tenete un euro per il caffè”.

Comunque voi fate il vostro dovere e avete capito che io lavoro con gli immobili e allora, in mancanza di indicazioni efficaci, mi sciorinate tutti i miei competitors sulla barra di sinistra: mi spiace, non ci compro nulla nemmeno lì. Anzi, sto religiosamente segnando tutti quelli che acquistano una campagna AdSense su Google con l’intento programmatico di non utilizzarli mai: non posso premiare chi mi intralcia la porta della casina virtuale come un piazzista di Geova, no, lo devo punire. Mi fate apparire anche prestiti, non so come avete capito che il mio conto in banca è allegramente banale, eppure a me hanno insegnato che se non ce l’hai, i soldi, non ci puoi comprare le cose. Che se te li prestano è perchè li rivogliono indietro con gli interessi. E che gli unici che ti fanno i favori sono la mamma e il papà, se tutto va bene.

Insomma mi avete intercettato. Affari vostri: avete sprecato un monumentale quantitativo di energie dietro a una che si deve ancora comprare le scarpe dell’estate e che si è commossa quando le hanno detto “il tuo mac sta esalando l’ultimo respiro”: e che cacchio, siamo stati assieme sette anni con quel monumento alla funzionalità. Datemi tempo. Vi perdono, perchè non sapevate a cosa andavate incontro.

Quello che invece io non vi perdono è l’avere tarpato le ali alla farfalla della conoscenza, alla ricerca su internet che si è involuta da algoritmo ricerca di parole chiave a equazione del bisogno di acquisto. No, non sto cercando l’agriturismo con l’animazione per i bambini, sto cercando una foto di Volterra, perchè non ci sono (ancora) stata. Non sono i Sofitel che cerco a New York, anzi, non ho ancora deciso se starò da un’amica. Nel frattempo volevo saperne un pochino di più, volevo vedere se è possibile stare in casa di sconosciute certificate, che di un viaggio senza nuove amicizie non me ne faccio di nulla. No, non voglio partecipare all’orgia di massa di Groupon e acquistare seicento kit sbiancanti per i denti: si fa dal dentista quella roba, se no il tartaro dove lo metti, sotto la candeggina? Io fumo. E bevo molti caffè. Non andrò in un residence di merda in Calabria a centotredici euro al mese se altri settecento ci vogliono andare, ma mi riservo il diritto di vedere un volantino su un giornale e prenotare per il giorno dopo. Solo perchè l’ho visto in un momento felice.

Non faccio quello che mi dite, quando me lo dite, solo perchè mi fate lo sconto. Non trovo quello che voi volete che io trovi: mi sono infurbita, so quali parole chiave devo evitare per non avere risultati con prezzi annessi. Certe volte voglio solo sapere se esiste una telecamera che filma un panda che cresce in Cina. Tutto lì. Ma vi chiedo: pensate davvero di stare guadagnando qualcosa? Le politiche utilitaristiche e a breve termine involgariscono chi le pratica, non chi le deve subire. Non appena trovo un nuovo motore di ricerca, meno cool, meno scafato, io ci migro – e non sono la sola: e agli inserzionisti che gli raccontate? “Ci siamo persi gli utenti”. Saranno ragni amari.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

Il trigger.

Juanita

Ho l’impressione di avere passato troppo poco tempo in collo.  Ne ho la certezza da quando la nonna bassa e la nonna alta se ne sono andate, mi sono detta: ma perchè non sono stata loro più addosso? Perchè a una certa età si smette di saltare in collo alle persone che si amano? Forse perchè crediamo che tutto duri per sempre – o forse perchè si diventa troppo pesanti, in tutti i sensi. Forse perchè scambiamo le cose importanti con quelle futili: una canzone che amiamo a dieci anni, non si dimentica più; e cosa c’è di molto più importante di un suono che rimane piantato lì, fra la memoria e il sentire? Poco, davvero. Per me l’odore nel collo delle persone che amo, impresso qui, nella mia memoria più amata.

Forse perchè il contatto con la mamma e il papà sono dati per scontati, mi sono arrabbiata perchè ne ricordo pochi che siano sufficientemente lunghi: quand’è che ho iniziato a ritirarmi dagli abbracci? Come ho acquisito il concetto di tanto lo (ri)faccio dopo, non lo so. Ricordo il mare, Tirrenia, e pomeriggi di lenzuola fresche e tapparelle abbassate, sul divano letto, per riposarsi. I piedi neri di mamma che si abbronza come una turca. Ricordo i piedini ciccioni di sorella numero uno, con i palmi delle manine rosa. Ricordo noi schierate a doppia w nel dormiveglia pesantissimo che caratterizza il riposo pomeridiano.

“Papà mi voglio cancellare e riscrivere all’università, non voglio essere in ritardo”. E poi il braccio grande di papà che mi stringe le spalle, no amore, non funziona così. I grattini ai piedi che mi faceva nonna, con le dita artritiche ben incurvate e le unghie spesse di cheratina. Con lo smalto rosso dato dalla parrucchiera, certo. L’abbraccio possente di nonna di lassù, altissima, fortissima, l’odore di borotalco attorno a lei, nella sua stanza col pupazzo di Andreotti. Poi la piccola, sorella numero due: ore e ore sulla mia pancia. Lì. Con quel respiro di biscotto e gli occhi che si fidano. E perchè non ci siamo messi assieme nel lettone, una volta, tutti quanti, a respirare in silenzio, io non lo so.

Ho tirato fuori una scatolina, stasera, con una sciarpina rinvoltolata nell’angolo destro. Chissà da quanto tempo non la aprivo, ma l’odore della Vecchia mi si è conficcato nel naso, nelle orecchie, nel centro dei sensi tutti ed ha funzionato da trigger, da trampolino, da fattore scatenante: cosa ci facciamo, nella vita, senza dormire tutti assieme nel lettone? Ho svegliato l’Inglese e ho biascicato qualcosa, lui dormiva e non capiva, what?, what are you saying?: se Dio vuole ogni tanto la circostanze aiutano a sdrammatizzare. Mi sono messa sdraiata in terra, con la sciarpina appoggiata sul naso, a cercare di respirare gli odori della casa in cui sono cresciuta e che oggi pulisco freneticamente per paura che si sciupi, perchè ho timore di non esserne degnaa. Ci vorrebbe che fossimo tutti qui, tutti nel lettone. E’ pure nuovo.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

Nutritevi.

juanita

Passato il budello di strada che passa sotto il ponticino sbuco con l’auto e i fari sono proiettori, la piazzetta pisciosa è diventata un teatro neorealista. Alla finestra quei due fanno le cose, credo lo facciano apposta a farsi vedere, perchè hanno la luce dietro e lei sta con le braccia appoggiate alla ringhiera della finestra, lui dietro: colpi violenti, a intervalli regolari. Suono di ciccia che si batte addosso. Forse io che passo con la macchina sono parte del piano? Non mi fanno nè caldo nè freddo, mi volto solo per accertarmi che Mezza Pinta non stia guardando. Sta dormendo, infatti, russa. Mi giro di nuovo e guido piano verso l’uscita – un altro budello di viottolo, meno brutto, coperto di rampicante. Con la candida-cistite-infiammazione che mi ritrovo la cosa più sensuale che mi viene in mente è un bidet ripieno di granita al Chilly.

Poi ripensandoci tutti fanno, facciamo, le cose apposta per farci vedere. Come le coppie ben rodate, quelle che lei cucina e lui sparecchia – e guardano gli altri commensali per vedere se hanno capito, il timing, il tuning, il teaming. Oppure lui lavora e lei fa il parassita come quello degli squali, che gli pulisce i denti aguzzi e le pinne – pesce pilota? Mi pare. Lui ama la pesca a quadriglia, e all’improvviso lei sa tutto di esche, lo cita come fonte certa: ha detto Gionni che per la pesca a quadriglia l’orario migliore sono le diciassette e diciassette. E se lo dice Gionni. Il problema è che quando Giovanni diventa Gionni è tutto troppo tardi, è tutto finito. Chiamami con il mio nome per intero, penso sempre quando l’Inglese mi chiama, affinchè non si dimentichi di me dietro uno dei suoi baby, honey e segate varie. E’ più difficile tradirsi quando ci si ricordano ancora i propri nomi, quando non abbiamo ancora trasformato la persona in personaggio, l’uomo in compagno, la donna in assistente? Credo di sì.

Penso all’amatore disamato: la sua parabola eccezionalmente fortunata lo ho partato da vaccinatore di femmine a uomo innamorato e scaricato. Penso alla sua grazia, ancora tutta da riconoscere. Penso al cuscino finalmente nemico, allo stomaco chiuso, alla ruga che gli attraversa la fronte e si va ad appoggiare nel crasso: lo invidio. Penso alla donna che l’ha sniffato, mi piace, poi l’ha odorato perbenino, e via. Kaputt. E lui ora muore. E lei non è nemmeno vestita a festa: che ironia.

Penso a te, che ti sei scelta uno che ti somiglia terribilmente. A come scegli anche i ristoranti: è incredibile, che tu inanelli una serie di posti così uguali, ma cosa vi comunicate, con i feromoni? In tal caso le zanzare vi attaccheranno il doppio. Penso anche alle tue amiche, con gli occhi morti. A me voi mi fate paura, perchè sareste capaci di tutto, e di niente. Siete di ritorno dal tennis o da qualche posto dove vestirsi come un gelato all’amarena è di qualche attrattiva. Forse state andando ad ordinare un tagliere di verdure grigliate. Domani è venerdì, c’è l’aperi-qualcosa. Nutritevi, di qualcosa di buono, perchè avete gli occhi a fessura.

Poi, per ultimo, penso anche a me: non è serata da colonna sonora questa – ed è strano, perchè io pianifico prima la musica e poi le cose da farci. Spengo lo stereo e, approfittando del fatto che Mezza Pinta dorme stravaccata e con soddisfazione, accendo una sigaretta coi finestrini appena abbassati, guidando a quaranta chilometri orario come i vecchi, come guido io. La spengo e la butto via subito perchè mi sento in colpa: ma posso io turbare i suoi piccoli polmoni? La verità è che da quando esiste Mezza Pinta mangio le verdure e fumo massimo tre sigarette al giorno. Bevo acqua. Faccio sport dove non mi possono vedere. Provo a fissare esami, che poi non faccio perchè sono ipocondriaca di quelli seri, ma almeno ci penso. Provo a vivere a lungo per essere lì per lei: che non abbia a crescere senza nutrirsi.

Che non le vengano gli occhi morti quando ha trentanni. Che non baci quello con la macchina più grossa che la porta al ristorante quando ancora non distingue un tartufo bianco da uno nero, ma quello col cuore più intelligente che le fa assaggiare un frutto di stagione. Io, penso, devo essere lì a tirarle le padellate in testa per farle apprezzare la quiete. Poi ripenso a F, che è venuta su da sè, alla perfezione e mi placo. “Non puoi controllare questo”, mi dico, e respiro piano. Devo fidarmi del percorso, della Grazia. Vorrei che fosse felice come una pasqua, che non pensasse mai che io voglio che lei sia questo o quest’altro. Chè a me quelli piccoli col macchinone mi fanno venire l’angoscia: ma come, papà ti aveva dato tutti quei soldi e  la sola cosa che sei riuscito a riportare a casa è una berlina? Cristo. Ma magari a lei piaceranno – e io devo stare zitta. Come è difficile. Speriamo che mangi con gusto, almeno.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

David Bowie.

juanita

Anno Quinto dalla scoperta della pancera scosciata e dalla rimozione frudiana del tiralatte. La vita mi va bene, ho controllato il quadernino delle mie istruzioni scritto a diciassette anni e l’unico punto che ho fallito del tutto è il “ti auguro di essere già a New York” .  Faccio consuntivo e mi giro di centottanta gradi: guai a quelli che non si guardano mai indietro, diceva Mentore Uno, prima o poi li tampona un tir di ricordi. Non una bella metafora, ma si capisce bene. Me lo diceva sempre quando frignavo e mi disperavo di farlo: piangi, mi esortava, finchè ti addormenti. Al mattino mi faceva recapitare una colazione pagata. Mi giro, dunque, per incontrarmi qualche anno fa e per attingere gioia: domani è martedì, il mio giorno spreferito.

C sa mettere il disco nella plancia Pioneer con la soddisfazione di chi possiede un’auto d’epoca e la usa per andare alla Coop. Il tappeto bianco e peloso e staglia una cornice netta con il fuori, giardino selvaggio con rose e lumache senza guscio. Legno in terra, caminetto a gas e tutto al posto giusto. In giardino il piccolo cottage, con un fouton e un armadio pieno di fotografie che posso guardare la notte – io dormo qui, al riparo dagli attacchi predatori del mio padrone di casa, che mi chiama il suo migliore amico femmina. La colazione si fa fuori, piovesse o grandinasse, sotto quel cielo di quel celeste sporco che è solo lassù. Coccini bianchi, cucchiaini senza grumi di zucchero, lui col The Guardian e io con l’Independent, lui con il tea malefico, io con il caffè solubile – fonte sempiterna di gastrite e denti marroni. Perderà tutto quando, pieno di quattrino, lascerà questo bendiddio per muoversi in un palazzo a tre piani.

Ma siamo ancora qui, non è ancora stata venduta la casa con la stanza rossa ed i mobili cinesi, dove C è passato da figlio del contadino violento e beone a grande entrapreneur. Non c’è televisione, perlomeno, c’è ma non si accende. C’è un impianto Bose alto come me, e un giradischi con la puntina di diamante. Due scaffali, lunghi: i dischi sono allineati per colore ma anche per pregio. C sfila quella bianca, con David Bowie e L inizia a cantare – mi è venuta a trovare, è sul divano blue di camoscio da scarpe, credo che sia Ziggy Stardust, con quell’inizio perfetto. Un inizio non voluto, ma ritagliato, inventato lì per lì per suonare bene: questo è il genio, la forma che si frega il concetto e poi ci si incarna dopo avere riempito ogni spazio libero. Ziggy si è preso un settore del mio cervello, lì, davanti al tappeto peloso, fra il caminetto e il giardino selvaggio col sole, con L che ride, C che sorride, e a me mi esplode il cuore di gioia.

Categorie
Juanita de Paola travel vita piccola women

90 (la Paura)

juany

La mia strategia contro la prova bikini è quella di avere creato una società che lavora al suo massimo dal primo di giugno al primo di ottobre. Ho ogni fortuna, perchè posso andare al mare di mercoledì mattina, alle sei e quaranta, noleggiare un barchino e andarmene al largo senza dovere tollerare figli e mariti che non siano cosa mia. E già è difficile coi tuoi. Oppure posso arrivare al primo di settembre bianca come un parmigiano reggiano, con l’aria trionfante di chi ha provato a risollevare le sorti dell’economia internazionale tutto da sola, con due braccia. In ogni caso posso saltare il vacare e lamentarmi acquisendo rispetto dalle folle – le dodici persone che frequento.

Devo stare attentissima a diradare gli incontri amichevoli nello stesso periodo, perchè sono tesa come come una rete da tennis a Wimbledon. “Ah, ma te sei questa qui?” si domandano con gli occhi tutto attorno quando vegeto, a sera, sulla seggiolina del parcheggio, l’unica dove non passo altro che io e i due matti ormai amici. Non respiro, sussisto. Rispondo a monosillabi, sono davvero preoccupata che i clienti siano felici, che Rupèrtolo, il dio che governa i canali stranieri, non abbandoni l’antenna della villa storica sopra Firenze – tanto bella, ma vecchia, disfunzionale. Prego che Tùbolo, la divinità che controlla le rotture dei tubi di domenica, mi sia amico. Che Coop non trasmetta l’escherichia coli ai miei clienti: non ho ancora imparato del tutto a separare pubblico, privato, lavorativo, personale, emotivo, razionale. Sta tutto lì, mescolato in un speriamo che mi vada tutto bene.

Passa un cane senza coda, è di sicuro un segnale nefasto. Lo segue F, che tutte le volte che lo vedo me ne capita una: scusa Madonnina, sono tanto superstiziosa, non lo faccio apposta. Lo ho visto ieri e mi si è presentato uno strozzino in ufficio sotto mentite spoglie, forse a sentire che aria tirava; vendo soldi, mi dice. Annuisco, non riesco a dire niente di quello che mi passa in testa – andate via, mostri. Accompagnato da un cieco e da un povero vecchio che invece di pensare ai soldi dovrebbe mettere in olio l’anima, risucchiata. F lo ho visto stamani, di nuovo, e un gruppo di anonimi orgiastici mi ha minacciato e ricattato telefonicamente per entrare in una villa senza darmi alcun nome – paghiamo in contanti: via, brutti lerci. Non nelle mie ville. (Madonnina, te l’avevo detto che quello porta più rogna di una maga che leva il malocchio).

Passa B a trovarmi, profuma come un mazzolino di fiori anche se si lamenta del caldo. Sembra un pasticcino, lei, sveglia come un furetto, con una ciliegina sulla testa. Mi portava a giocare a tennis tanto tempo fa.  Mi piacciono le persone che non cambiano gli occhi nel tempo, e i suoi sono ancora puliti, allegri, curiosi. Tutto il contrario delle fessure, morte, di quelli che sono venuti a turbare il mio piccolo mondo lavorativo: spenti, venduti. Il vostro feticcio è fetido, signori. Scherzavo, non lavoro qui, non vorrei essere qui, io suono la chitarra e sono felice così, portate via codeste carcasse che chiamate corpi, e non vi dimenticate le spugne putrescenti, le vostre anime: vi siete venduti ai soldi, e ora raccogliete quello che avete seminato. Il vuoto. Ma vi supplico, non venite a calpestare il mio orto: c’è qualche spinacio, due o tre pomodori, è tutto da fare è vero, ma ci sfama tutti ed è rigoglioso. Felice.

Mamma mi ha regalato Django Reinhardt, so che al quarto ascolto consecutivo starò meglio. Mi faccio tanti caffè. Oggi niente corsa, oggi niente capelli da asciugare, nessuna depilazione o fondo tinta: io, davanti allo specchio con la mia lieve cuperose, a darmi dell’imbecille: quante volte mi devo dire che il mio stomaco sa prima del mio cervello cosa devo fare? Avrei dovuto dire no, non venite. Avrei dovuto dire una bugia, forse, per mascherare la paura. Avrei dovuto fare la pazza, spaventarli, farli correre via. Meno male che c’è il gelato e che si può ancora andare a letto alle dieci senza che il governo ci metta una tassa. Meno male che c’è la lingua: devo raccontare questa storia a tutti, mi devo fare confortare, non ci sono segreti e non c’è vergogna quando non si fa nulla di male. L’Inglese dice che nulla succederà – e che devo smettere di dire sempre di sì. Io gli do retta stavolta.

Categorie
Juanita de Paola women

Invidia.

Invidio molto, in maniera benevola. Faccio in modo di fare capire a quelli che mi provocano questo sentimento rognoso e necessario le ragioni, tiro fuori con loro i motivi sotto forma di complimento – e spero che tutto vada bene, che non ci sia offesa. Non faccio in tempo a raggiungere un piccolo obiettivo che mi sposto subito su un altro: si chiama ansia da prestazione, incapacita’ di godersi quel che c’e’ per un po’, antitesi del godimento: daltronde il dio motore immobile a forza di rimanere uguale a se’ stesso guarda che finaccia che ha fatto.

La mia amica F, bionda e altissima, ad esempio ha caviglie e ginocchia piccine cosi’. Si mette i jeans d’estate e la camicina del marito, celeste, arrotolata a sottolineare un punto vita miracoloso, taumaturgico. La mia amica G, invece, conosce le domande prima che le vengano fatte: sa da dove arriva e conosce la sua destinazione nella vita, risponde con calma ed e’ capace di dire “non lo so, questo non te lo so dire” senza arrossire o preoccuparsi della reazione.

La mia amica N e’ capace di farsi crocifiggere nel nome dell’amore: e’ una femmina tradizionale, di quelle che sanno di casa felice e ben badata, che si trasfigura sotto lo sguardo del suo uomo: e’ incredibile come le brillino gli occhi, le si arricciolino i capelli corvini, le splenda la pelle sopra il manubrio, appena sotto il collo, come la seta, di notte, nel deserto, quando lui le passa la mano fra i capelli.

Anche la mia amica B, invidio, per la sua tanica infinita di amore, per la vibrazione che la sorregge e la tiene magra come un giunco, come il tronco di un bengiamino lieve e resistente: una geisha vera, capace di profondita’ infinita e talentuosa, che preferisce servire sake’ invece di esportare chilometri di seta in Occidente. Eppure ha il patentino.

Non invidio gli uomini, coi quali condivido il sogno eroico prima che erotico, la smania di grandezza e l’incapacita’ di essere in un posto, a un certo momento, completamente. Non li invidio perche’ la solitudine come rimedio e’ un posto dove si elucubra troppo e si prendono decisioni che raramente portano a qualcosa di concreto.

Siamo in molte, oggi, donne che si trovano ad affrontare pensieri complessi e problematiche econonomiche, quando non fisiche, ignote alla letteratura degli anni passati: con modelli beleniani da rincorrere e doris day contemporanee sposate a uomini importanti, siamo invise agli uomini perche’ simili a loro e distaccate dalle donne che parlano di vestiti, pene d’amore e cellulite – perche’ non abbiamo argomenti convincenti, mica per altro.

Non ho bene capito cosa sia una donna, oggi, ma ne conosco una decina che mi piacciono un sacco, cui mi ispiro, che invidio e che cerco goffamente di imitare. Dice F che dietro una mamma c’e’ una donna, e cerco di ascoltare anche la me che si trova la’ sotto a prescindere da famiglia e figli. Dice mamma che donna che dura, non perde ventura. E ci sto pensando sopra.

Categorie
Juanita de Paola women

Profu(ma)mi.

juanita

Mi hanno spruzzato in profumeria di una cosa terribile, una via di mezzo fra l’odore di mutande di una prostituta in stato avanzato di decomposizione e un campo di girasoli attorno ad una discarica di pesce. Mi pare fosse Mugler. Mentre mi si chiudeva la gola e cadevano strinati i peli del naso sono riuscita a sillabare un gh..azie alla signorina che si era nascosta dietro un condominio di carta e mi aveva teso un attentato come Cato Fong. Stavo cercando una cosina per la festa della (mia) mamma, ma ho dovuto ripiegare sull’uscita e rimandare per mantenere quattro sensi su cinque – l’olfatto è compromesso per sempre.

Dentro la profumeria, i pochi secondi che sono riuscita a sostarci senza che qualcuno mi spruzzasse con l’intento di abbattermi, c’era un bel viavai di figlie di ogni età e un gruppetto di russe attorno a dei barattoli che costano cinquecento euro a pacchetto e che ho scoperto stamani essere anche qui, nella profumeria del paesello. La scatola della cremina, mi pare, riporta la faccia del tipico uomo caucasico fra i quarantasette e i settantasei con un certificato di prostata dolente, il packaging è identico dovunque. Mi è venuto in mente di quando chiedevo alla mia amica F come facesse a darla così bene, con tanto profitto, e lei sogghignava – senza mai rispondere, in verità, ai miei questionari.

Ho ripreso per la manina Mezza Pinta e ci siamo incamminate verso lidi meno odorosi. Mi è venuto in mente di quando c’erano le regate a Punta Ala e a nonno regalavano borse con dentro un sacco di profumo, terribile, da parte dello sponsor della gara. Era un profumo maschio, come di ascella sudata e poi ricoperta di incenso e rosmarino. Avevamo la casa invasa da queste scatoline nere di profumo e da borsate di magliette, polo, deodoranti; nonna aveva dovuto prendere un’aspirina, lei che vinceva la polmonite con lo sguardo, per superare il malditesta. Non capivo le regate – e nemmeno il mio nonno, che si tappava gli occhi per paura che qualcuno si inabissasse quando prendevano curve troppo strette o andavano troppo veloci. Mormorava che banda d’imbecilli guardando le corse col binocolo. Era il comandante del porto, che aveva fra i vantaggi inattesi quello di status di nipote di: una manna. A chi critica i figli di dico quello è nulla, rispetto di nipote di al mare, d’estate.

Portando la bimbina a scuola di recente sono entrata nella scia di profumo di una signora, mia coetanea, tutta vestita di bianco. Una bella signora dal sorriso sincero e i capelli stopposi, come si conviene alle persone morigerate. Mi sono fermata e ho chiuso gli occhi per incamerare l’odore più possibile: fra venti anni, magari, dentro una profumeria, vedrò una bottiglietta meno aggressiva delle altre, me la spruzzerò sul collo per provarla e mi ricorderò così, senza filtro, di una mattina in cui ho fatto sessantaquattro passi fra un cancello e un portone per accompagnare il mio cucciolo a imparare le cose.

Questa settimana sono andata ad ispezionare una proprietà e a fare le foto: abbiamo fatto preparare ogni stanza con le luci accese, le finestre aperte, i copriletto stirati perbenino, i fiori freschi nei vasi, i vassoi con le tazze da colazione messi sui pouffe in fondo al letto. Abbiamo illuminato ogni stanza con le lampade, per dare l’dea di una giornata di sole, fuori, e di una vita felice, dentro. Per dovere di cronaca ritraiamo anche i bagni di servizio, ecco. Dentro uno di questi c’era un flacone di profumo senza etichetta e non ho resistito, a rischio di spruzzarmi con la candeggina: due spruzzi vigorosi, convinti, e mi sono ritrovata avvolta da Fahrenheit. Della fragranza mi sono liberata qualche ora dopo, per quanto riguarda invece lo stordimento ci ho messo qualche giorno.

Categorie
Juanita de Paola travel vita piccola women

Click.

Juanita

Voglio spendere una cifra che non mi posso permettere nella migliore macchina fotografica che si possa reperire. Vorrei anche poterla pagare in quindicimila comode rate. Vorrei anche portarti delle fotografie stampate per sapere come si fa, esattamente, ad ottenere quell’effetto, con quella luce. Inizia così la conversazione più eccitante che io abbia affrontato negli ultimi anni, con E, fotografo e titolare di una bottega con tante macchine e accessori. Mi porta nella stanzina. Non ho bisogno della migliore macchina del mondo, inizia a spiegarmi, ma di qualche obiettivo e di un ombrellino a luce tipo neon per ottenere quell’effetto che piace a me, di luce calda, avvolgente, naturale. Riprenderemo la nostra discussione il prossimo martedì, abbiamo un appuntamento, e questa convoglierà ad acquisti smodati perchè lo so, lo voglio.

Ci sono migliaia di tutorials in internet per trovare consigli a riguardo, ed occasioni imperdibili a venti euro, il punto è che la parte della contrattazione, dello scegliere la macchina seguendo i consigli di un maestro, il trattenersi nel negozio con persone attorno che vogliono davvero che tu esca con la crema della crema al miglior prezzo, questo per me è parte fondamentale della cosa. E tira fuori ombrellini e lampadine e nella stanzina comincia a farmi vedere effetti, tocca qui, mi dice, rimane freddo: la luce speciale dell’ombrellino rimane fredda, è vero, ci metto la mano come quando da piccino la passi veloce sulla fiamma per vedere se è vero che non ti bruci. Ci vuole il cavalletto, certo, comprerò anche quello. E la pila nuova. E’ vero, dico. E una custodia di pelle forse.

La mia macchina fotografica mi somiglia, è un vecchio modello che funziona più di quello che dovrebbe, ottiene risultati stratosferici nelle difficoltà e rabbuia immagini facili, dico, che riuscirebbero a un bambino. E’ tutta graffiata perchè se la porto la lascio fuori dalla sua (orrida) borsina: camminiamo assieme, io e lei, alla ricerca della bellezza umana. Mi piacciono le persone, e piacciono pure a essa. Il flash si alza a caso, ma ha un buon senso del risultato. E’ una macchina di pancia, che sprezza il pericolo e chi lo teme. Quella che passa una giornata a fotografare una persona, finchè non viene fuori la sua bellezza unica e irripetibile, finchè non si sublima dentro la mia lente, sono io. Quella che poi sta due giorni a catalogare ogni foto con nome e parole chiave (Marina, Sorriso aperto, fiducia, empatia) sono sempre io. E’ importante sapere bene cosa si trova quando lo si cerca.

Così Martedì, io e il mio maestro, ci scambieremo le due cose più amate l’uno dall’altra: la sua competenza, la mia fiducia. Il suo parlare e il mio silente ascoltare. Il suo contrattare, il mio accettare. Non gli dirò che faccio foto dalla mattina alla sera e lascerò che scelga per me un modello sottomisurato, perchè parte della gioia del fare è il suo impedimento. Ascolterò il suo consiglio e non comprerò il flash con le palline fatto a cerchio, che costa duemila euro – per ora; ci ho messo gli occhi sopra e lo avrò, al solito, quando mi pare. Uscirò senza nulla, tendo a ripassare poi, sapendo che la cosa è lì per me. Che è mia. Gioco al gatto e al topo finchè mi è concesso. Ma torniamo alla fotografia.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

Attorcigliami.

juanita

La coppia sui diciassette si siede in pizzeria. Si toccano le dita della mano in segno di disperazione: il piatto è pieno di mangiare, non di pezzi di loro stessi. E’ un cantico carnale e irripetibile: difficilmente, dopo, succederà di possedersi come in quell’età, senza progetto – senza capire; da grandi si impara a giustificare le cose anche in maniera ineccepibile, a dire quello che è giusto, ma il desiderio di ammazzare quello davanti per amore e infilarselo in bocca sotto forma di cotoletta cruda, quello è roba svanita, specialmente se pensiamo ad anni di attese e speranze patiti alle superiori. Infatti io credo che passati i trenta si debba smettere di parlare, e mettersi in ascolto religioso dei bambini delle medie, che sono creature sensuali e istintive.

Lei è così truccata che sembra una vegliarda appena uscita dalla fontana della giovinezza. Lui ha la testa trapezoidale. Ha la giacca. Lei ha le calze marroni chiare del mercato e le scarpe da vecchia col tacco, lo spacco, e le unghie rosse e lunghe che mi viene voglia di pigliarla in collo e aggiustarle la frangia, mentre le stacco quelle protuberanze di cheratina. D’altronde non bisogna più cacciare le prede nei boschi e affettarle a mani nude, le unghie sono superflue. Assomiglia, la ragazzina, a Jennifer Garner. Parecchio.

Si perderanno fra breve, dopo che i loro corpi si sono detti tutto quello che è possibile, e faranno finta che quell’amore giovanile sia solo quello. E’ l’imprimatur, invece, e bisognerebbe stare attenti a giocarsi bene la carta baci senza preoccupazioni. Ecco, forse è questo che mi manca e di cui non posso lamentarmi – ho tutto, oggi: abbandonarmi ai baci copiosi di qualcuno di cui non conosco i trascorsi e i futuri. Qualcuno che non vuole esserci fra due ore e non c’era un anno fa. E’ la primavera, con buona pace dell’inglese, e le coppiette che giocano a fare i grandi non solo mi appassionano, ma mi attorcigliano lo stomaco.

Categorie
Juanita de Paola travel vita piccola women

Te lo prometto che ci provo.

juanita

“Lui nel suo paese è bello” mi dice R, il mio mentore e mecenate – non posso aggiungere amico, perchè non è mio amico. E questo mi sconvolge più di altre sue conoscenze finzanziarie e linguistiche, ad esempio: il fatto che sappia (anche) che quella tale persona, che porta i fazzolettini a giro ed è alta meno di me, sia un maschio parecchio appetibile. Mi spiega perchè. Lo ascolto sperando di prenderlo in castagna, in fin dei conti il mio compito è quello di ucciderlo e rinascere, migliore, dopo averlo superato – per ora nulla di nulla. C’è da dire che mi sento sempre più felice se dintorno a me c’è un uomo sulla cinquantina, sessantina, settantina: mi sembrano più tondi, più simpatici. O forse ho avuto a che fare con troppi giovinotti in odore di successo e col testosterone al naso per potere apprezzare la categoria gioventude maschile, non saprei.

R ama, riamato, almeno dieci donne. Le tiene tutte a bada in qualche maniera, ne ama una più di un’altra a periodi, poi al momento di convolare loro scappano: considero genio puro l’arte di liberarsi di una di noi invitandola a convivere. Il punto è che lui è molto impegnato a vivere una vita piena di significato e retta, non conosce la bugia, per potersi dedicare pienamente a questa o quella che, anzi, si vergognano dei loro pensieri esclusivisti. Forse è un idiota, forse è un genio: non è per le sue virtù amatorie esercitate sulle mie colleghe che gli ho regalato una dei miei telecomandi, ma perchè mi ha sfasciato di cattiverie e affetto. Tutto appropriato e ben bilanciato. Mi ha levato gli occhiali scuri. Mi ha ascoltato frignare e dopo ha assestato un fendente di parole che non posso dimenticare. Mi ha riconosciuto: io camminavo tranquilla, e qualcuno ha perso un pò di tempo con me, per dirmi hey, io ti ho visto – non è questo un dono del destino?

A breve non ci incontreremo più, parte convinto per quel paese di cui ha riconosciuto un abitante affascinante. Mi chiamerà prima della partenza e mi racconterà di me, mi lascerà una fetta di sè – ha avuto una vita straordinaria, incluso il rifugio politico e il successo economico – e avrà quel tono rassicurante di chi ti vede per il poco che sei, e ti lascia vivere. Passiamo, camminando, il ragazzo con gli occhi giganti e le sopracciglia come un rigo di uniposca, e stiamo in silenzio per minuti. C’è il sole e fa freddo, un tempo che si presta bene a cambi repentini e decisioni affrettate, come piace a me. Ti piace la fotografia? Mi chiede. “Si, parecchio”. Ricordati di andare vicino alla faccia, tu che hai paura dei contorni decisi. Cerca di rischiare, almeno lì, e chiedi perlamordiddio senza pensare di sapere già la risposta. Per favore, levati il traduttore automatico dal cervello una buona volta. Dice. Io ci provo.

Categorie
Juanita de Paola women

Artefatto.

juanita

La mia amica C ha preso una foto di una modella e l’ha portata da F, il chirurgo plastico con sei ambulatori sparsi in qua e in là. Gli ha detto “voglio diventare così”. Ha scelto bene, C, perchè ha preso un prototipo simile a sè stessa: ossa piccole, naso piccino, occhi all’asiatica, spalline muscolose. E’ partita con una liposuzione, ha poi ricostruito le cosce, le ginocchia, si è dermoabrasa la faccia (si è fatta levare il primo strato) e ha lisciato i capelli con quella tecnica cinese, credo, che costa mille euro a botta. Ha iniziato a fare jogging al mattino e alla sera, ha chiuso con gli ascensori e calato di due taglie da una già ragionevole quarantaquattro.

La sua evoluzione (dis)morfica e un quantitativo sostenuto di lampade l’hanno trasformata in una tartaruga ninja, tipo, coperta di rughe e verde alla luce del sole. Indossa vestitini di seta con la cintura in vita che le stanno benissimo, e da dietro sembra una indossatrice: davanti è tutta un’altra storia. Si è rifatta le tette, alla fine del percorso, perchè la magrezza porta con sè tante belle cose ma di sicuro mortifica la zona torace – a meno che non si sia Helena Christensen o Bar Rafaeli. Quindi adesso sembra una tartaruga ninja con due riproduzioni della cappella sistina appoggiate sotto il collo. Il sedere nemmeno si muove quando cammina, dal tono muscolare acquisito. Invitarla a cena rimane poco simpatico, perchè nonostante non mangi nulla ordina il piatto più caro e lo lascia lì, dopo avere mosso pezzettini a destra e sinistra – fare le pecorine.

Con questa carena si è cuccata uno dei maschi alfa del paesino dove vivo: macchinone, poca spesa molto ristorante, stecche di sigarette, coca, viaggi, gioiello, pasticcini la domenica. Lui le ha impalmato varie dita, poi le ha appeso dei vetri alle orecchie, poi le ha aperto un conto al negozio di biancheria intima dove lei sceglie e lui passa dopo. Si è presa una Mini, di un colore sgargiante, e non mette scarpe senza la zeppa. Ha le meches, più chiare, come Jennifer Aniston, e i capelli lunghi fino alle scapole che si possono legare o lasciare sciolti e morbidi: in ogni caso ci pensa R, il parrucchiere col salone moderno. Lavarsi i capelli a testa in giù, e poi dove, nella vasca? non è proprio cosa.

C è una brava ragazza. E’ una che le sue amiche sanno che c’è, a meno che il loro fidanzato sia più ricco del suo – in quel caso C ha già comprovato di essere la migliore, mettendo a disposizione un sacco di buchi che le altre nemmeno se lo immaginano. Ma se, come capita quasi sempre, i rispettivi fidanzatini sono poveretti o meno abbienti del maschio alfa, allora c’è legame serio e duraturo. C non ha molto tempo da perdere in chiacchiere, un corpo come quello merita una manutenzione straordinaria ordinaria, quindi non è che la trovi al bar a ciaccolare o a dire cattiverie, perchè è impegnata e parecchio. Mi chiedo se C avrebbe avuto un futuro meno dismorfico, più incline alla sua natura bonacciona e tutto sommato cicciottella se fosse nata in un Paese senza elettricità, senza la televisione. Mi chiedo anche come lei intepreti la vicenda di Banana, il maschio alfa italiano per antonomasia, il vecchietto arzillo con il pipi ritto. Sarei curiosa, anzi, glielo chiederò.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

Cosa Essere Tu?

Juanita de Paola

Il mio amico F mi dice sempre che il suo sogno erotico sono le studentesse americane a Firenze, non solo perchè qui sfogano spesso il loro limitato e vergognoso bisogno di mescolarsi all’uomo operaio, proibito back home, ma perchè sono cicciottine, con quella pelle bianca e i capelli belli lisci e lucidi, i piedi ciccioni con lo smalto scuro che sbucano dal flip flop (le infradito che la sottoscritta, se va all’inferno, sarà costretta ad utilizzare per sempre): dei diavoli a letto, sostiene F, specialmente dopo una tequila. F iniziò a perdersi d’animo però dopo averne rimorchiate direi un numero eccellente e averne sdraiate altrettante a casa mia, nello scannatoio di Via Maggio dove io praticavo la santità e il Martini con ghiaccio.

Le fanciulle infatti pensavano che i ragazzi che stavano loro dietro con tanta pervicacia fossero italiani, colleghi di F, ma erano invece albanesi vestiti da italiani, ovvero succinti con le scarpe troppo lunghe. La concorrenza era troppo superiore, e F si dedicò infine alla sua vera nascosta (per lui) passione: l’augello. A questo pensavo stamattina, al mio amico F, che dava per scontato che per sempre ci sarebbe stata un’esuberanza fiorentina di studentesse americane e che queste avrebbero cercato di innamorarsi di lui, o almeno di uno dei nostri. Pensavo che siamo legati a convinzioni abbastanza strafottenti: cosa farò da vecchio, mi confermeranno la vacanza del prossimo Natale, se continuo così diventerò la più brava, la più bella e così via.

La nostra vita è appesa a un filo: un terremoto, un’inciampatura, una pianta che casca dal quarto piano, una malattia, un omicidio, un ghiacciaio che si scioglie, una zanzara tzè tzè. I figli, il figlio ormai, che si fa, sono un meraviglioso tentativo di proseguire il nostro seme, la nostra stessa vita: eppure nei ricordi delle nonne, in quasi ogni famiglia, c’è un figlio che se n’è andato. Ce n’erano tre, ne rimanevano due: si continuava. La vita è più lunga, certo, ci sono le medicine, ma non è che il ciclo si sia indebolito, si sia addolcito. Anzi. Per questo è salutare pensare che oggi ci siamo, domani no, per prepararsi a vivere la migliore delle giornate su questa terra e non rimanere privati del senso di noi stessi in caso il destino ci porti via qualcuno di caro o ci faccia esplodere un reattore nucleare accanto. Piuttosto, pensare che in casi come questi le compagnie aeree aumentano i prezzi mi ricorda cosa siamo: bestie, che fanno la scorta per l’inverno. Tutto qui.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

Allargata famigghia.

Juanita de Paola

Devo molto alla moglie dell’inglese, presto (?) ex moglie: lo ha preparato come un allenatore atletico alla sua seconda vita – spero ultima, quella con me. Questo vuole dire che lo ha patito come un difetto congenito quando beveva, diventava molesto, rientrava tardi e spendeva piu’ del previsto – l’inglese non fa parte della schiera dei probi viri, direi piuttosto che e’ un vero ragazzaccio,  o piu’ semplicemente un uomo egoista quanto divertente. Lo ha menato, non abbastanza secondo me, e gli ha buttato i vestiti nella spazzatura quando li trovava appallottolati nell’armadio comune. Ha anche cercato di strozzarlo e ha passato settimane, anni d’inferno cercando di piegare quel filo di piombo liquido. Lui l’ha tradita, lei lo ha tradito, si sono riappacificati, hanno deciso di figliare, poi nulla, insomma hanno vissuto tutto il repertorio comune.

Ci siamo conosciute in un hotel, mi pare il Metropolitan, e lei indossava scarpe rosse col tacco mezzo, aveva il ginocchio fine e le gambe lunghe – dettagli che l’inglese aveva volutamente nascondermi per non fare nascere il senso di competizione o, piu’ verosimilmente, frustrazione. Balbettava, lo fa sempre quando e’ nervosa, ed era un palmo di mano piu’ alta di me. Poi mi sono ricordata di avere i tacchi: due palmi di mano. Ero incinta, all’epoca, con un discreto buzzotto, e avevo appena incontrato tutto il di lei passato: i loro amici di prima, le coppie che tradiscono lei e rimangono attaccate a lui, quelli famosi, quelli di quindici anni di loro due assieme. Avevo dormito a casa di G, la sua amica del cuore, e cenato in tutti i ristoranti in cui lui l’aveva portata. Lui l’aveva fatto apposta, of course, gli uomini fanno il taglia incolla esistenziale con grande talento.

La conversazione era stata un po’ freddina, ma avevo letto cose buone e lei pure. Le avevo detto: vi lascio da soli, avrete tante cose di cui parlare, e poi mi ero andata a strafogare di cioccolata alla mostra. Ripensandoci puo’ una mostra essere edibile? Era stato il primo incontro, poi ci eravamo viste di nuovo finche’ alla fine era scoppiato l’amore e avevo capito di preferire lei a lui: piu’ compassionevole, piu’ diretta, piu’ pratica. Sarei andata in vacanza con lei, non con lui. Difatti era venuta parecchie volte a casa mia in Toscana, e una sera che l’inglese era rientrato in condizioni poco raccomandabili alle sei del mattino l’avevamo riempito di cazzotti assieme, cosi’ come si fa nelle famiglie allargate perbene. Il giorno dopo gli avevamo lasciato il brodo pronto ed eravamo andate per musei: lei odia quello che io amo, uno spasso.

Nel corso della nostra unione a delinquere ho chiesto all’inglese un’unica condizione: sincerita’ assoluta. Non credo che dire la verita’ dura e pura sia un valore in se’, e in genere se ne fregia chi non ha molto da accettare, ma so che quando ami qualcuno lo vuoi (devi) proteggere dalle sorprese, dalle figuracce: dimmi tutto quello che hai combinato, quello che non sveleresti nemmeno sotto tortura. Dammi tutto il bagaglio lurido, e’ con quello che partiamo.  E cosi’ e’ stato: ce le siamo dette, subito, tutte. E questo mi ha aiutato parecchio ogni volta in cui mi hanno punzecchiato a sangue, come fanno quassu’, con il sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi a mezza luna, in un atteggiamento pseudo protettivo. Ho una risposta unica per le stoccate, ed e’ sempre “so tutti i particolari, lo trovo eccitante a dire la verita’”. Piano piano hanno smesso di rivelarmi quello che sapevo gia’ e mi hanno fatto entrare nelle discussioni senza cercare di tagliarmi le gambe: avere una vita sociale soddisfacente, interessante, e’ irrinunciabile alla soglia dei quaranta.

L’inglese ha visto sbudellare il mio intestino (tenue e crasso credo), durante il cesareo, e il mio grosso grasso culo nudo andare su e giu’ nel capitolo piu’ animale della mia esistenza: il travaglio. Mi ha visto piangere per il dolore delle puppe gonfie di latte e ha avuto il privilegio di osservarmi urlare come un cane selvatico a delle mutande lasciate in terra. L’ho assistito nella sua stitichezza ospedaliera post operatoria e l’ho visto andare in depressione violenta quando ha perso il lavoro: non c’e’ niente che mi preoccupi nel futuro, non c’e’ niente che non sappia o non abbia visto – e viceversa.

Eppure ho una convinzione: conosco, del suo cuore, un millimetro quadro. Dei suoi sogni, avanzi e bricioline. Se qualcuno un giorno tornasse a casa con una foto di lui quando era una donna, potrei solo dire “a questo non c’avevo pensato”. Se un giorno bussasse alla porta un bambino che gli somiglia penserei “ma quando ha trovato il tempo e,soprattutto, i soldi”. La domanda che non mi farei mai sarebbe: ma come e’ possibile. Tutto e’ probabile, tutto e’ ammissibile, ogni cosa puo’ accadere – e l’amore non ha nessun controllo su questo, la nostra mente non modifica gli eventi. Siamo tutti capaci di costruire un mondo parallelo in cui difenderci da quel linguaggio familiare che ci inebetisce, da quelle concessioni emotive che doniamo e togliamo senza merito o motivo. E difatti, quando una storia lunga finisce, il problema vero e’ riappropriarsi del vocabolario per esprimersi fuori dal contesto protetto: si diventa di nuovo one in a million – e non c’e’ piu’ quell’altro che ti dice che non e’ vero.

Avere un mondo laterale, selvaggio, basico, aiuta a portare contenuti in quello quotidiano fatto di lavoro e di famiglia: non siamo stati generati per quest’ultimo, ma e’ quello abbiamo imparato a fare, cosi’ come il pesce pilota pulisce i denti al pescecane. Ci salva, il nostro giardino segreto, quando scopriamo che il tenero marito che pareva pensare solo alle esche amava in realta’ vestirsi di lattice e aveva una padrona, o che la moglie che abbiamo tradito con sensi di colpa si faceva pagare per farsi vedere nuda online, su un circuito rumeno. Ci fa sopravvivere, quando uno di nostri cari muore o si ammala terribilmente, perche’ nel mondo selvaggio c’e’ solo oggi sono qui, domani non si sa, e finche’ non si muore si vive. E’ una fonte d’acqua cristallina, che va a bagnare la spiaggia del nostro ordinario rendendola feconda, e che va difesa a tutti i costi: gli uomini lo sanno fare, le donne ancora no. Quasi per niente.

Un buon modo di fuggire questo oblio possibile, la perdita del nostro paradiso in terra, e’ abbracciare il passato di chi ci prepariamo ad amare e accondiscendere alle magagne presenti di chi amiamo da molto tempo – causa affezione o parentela. Che ci sia comprensione, massima. Di modo che quando impazziremo noi stessi e decideremo di appoggiare un culto vegano-buddista, qualcuno ci rimarra’ accanto e, se ce la mandano buona, provera’ a mangiare i fili d’erba con noi. Da qui la solidarnosc con la futura ex moglie, tante le volte: brucare in solitudine puo’ essere parecchio triste.