Categorie
Juanita de Paola

Come l’acqua tofana

Respiriamo a Londra un’aria che somiglia all’acqua tofana. Sotto la cotenna dura come di cinghiale di questa terra, che è un’isola (e questo conta molto quando si misura la la forza dei suoi abitanti), c’è un fascio di tendini stirati, un eccesso di acido lattico che si fa sentire ma continuiamo a camminare veloci, la paura di saltare in aria in qualche buco sottoterra o in un centro commerciale è una palla di lievito che fa il suo dovere. 

La città continua a produrre eventi, eccitazione, la gente continua a partecipare, ma camminando tremano un pochino le ginocchia, e tutti i volti che non ci somigliano, tutte le donne velate, gli uomini con la barba, tutti quelli che ridono troppo o troppo poco sono un richiamo alla prudenza ed un brivido freddo. Siamo, questa è la verità, ognuno il nemico dell’altro. Camminiamo di nuovo come animali, scrutando velocemente e continuamente attorno, per vedere se siamo prede o cacciatori, o tutte e due le cose. Tornare a casa la sera è di nuovo cosa per giusti, “routine” è una cosa bella, non un ciclo da esorcizzare sul lettino dell’analista.

Cambio le rotte consuete, evito il centro, piano piano provo a tenere la bambina a casa il Sabato, e poi la Domenica e poi, magari, il resto della settimana – perché le mamme pensano di essere anche scudi nucleari – e poi cambio idea: non sto mica crescendo uno scarafaggio, se si deve morire, che la morte ci trovi vivi. Penso ai bambini, quelli che saltano in aria da ogni parte, penso ai loro genitori, che strazio infinito, alle donne violate, agli uomini a pezzettini, a cosa siamo diventati, il tempo si incapsula e concentra, diventando una cosa diversa, questo è un modo nuovo: stiamo cambiando vita e come sempre non abbiamo scelto niente. Eppure.

La gioia è tornata a trovarci, forse perché abbiamo paura, usciamo di più, piangiamo parecchio, ci stringiamo ogni notte e ridiamo il Lunedì. Abbiamo fatto la pace con tutto e con tutti e iniziato un nuovo corso, una vita più piena, più degna. Parliamo degli amici, dell’amore, degli gnocchi che si fanno in casa. Torneremo in Italia probabilmente a Primavera, ma stavolta in macchina.

Ci abbracciamo come fanno i pinguini nella tormenta, per rimanere vivi, sul pack. 

Foto dei ghiacci di David Doubilet, vincitore del National Geographic Wildlife Photographer of the Year

Categorie
Juanita de Paola vita piccola

La cioncia in borsa

Quando in presenza di orso infuriato, sdraiarsi a pancia in su e fare le moine. Quando in presenza di Londra assolata, ugualmente, chiudere le veneziane tappandosi in un buco e attendere che il popolo bianco rientri in casa: così come allo straniero non è dato vedere un italiano composto sotto la pioggia torrenziale, così a noialtri immigrati non deve essere inflitta la punizione tardiva dell’estate londinese, una benedizione solo per chi ha abbracciato la religione delle flip-flops e delle callosità dure ma un disastro estetico per chi è appena ritornato (dalla Toscana) con l’aspettativa di un pò di pioggia leggera e cielo plumbeo: è tempo di lavorare. E’ tempo di stare dentro.

Talloni induriti ciabattano con dita ciccione lungo il fiume, smalti con colori da bambine, happy hours che si protraggono fino alle dieci di sera quando la piscia diventa incontenibile e le donne cominciano a cacciare il maschio stordito, l’unico disponibile alla concione fisica da queste parti.

Mi hanno cambiato il ragazzo della birra, che non bevo, ma era carino e faceva sempre l’occhietto a Cecilia. Al suo posto due parameci di parecchi metri l’uno e senza tratti somatici. Per fortuna una volta al mese arriva una squadra di rugby. Il mio amico Henry, di cui non ricordavo l’esistenza – e credo nemmeno lui la mia, ma tant’è – ieri sera mi ha comprato una bottiglia di bianco francese molto buonino, welcome back, grazie, ma chi sei? Scherzi a parte: chi sei?

La ragazza con i capelli rossi che non indossa mutande e porta i vestitini leggeri a pois si è chinata anche ieri per mettersi al sedere: nessuno vuole guardare sotto quel gonnellino, a parte me che covo la speranza di vederci un bel paio di spantex. Macchè. La chiamano la signorina allenamento (Ms Training) perchè a lei si deve lo svezzamento di qualcheduno di questi carciofi. E sai non si direbbe: secchina, bellina a quella maniera, senza trucco, coi capellini pettinati – queste cose te l’aspetti dalle golosacce.

Stasera esco. Ho scaricato l’applicazione che ti permette di inserire la tua partenza e la destinazione e ti guida dove devi arrivare con semplici indicazioni adatte alle femmine: “prendi il bus numero 12, conta dieci minuti, scendi, girati, cammina alla fermata, monta sul tube giallo e scendi dopo 8 fermate”: una pacchia, perchè il mio problema più grande – non solo in questo dipartimento, non solo qui – è che scambio i numeri e le lettere, per cui il treno numero sette delle due e mezzo diretto a Ladbroke diventa automaticamente l’autobus numero due che alle sette e mezzo arriva a Landott. Mi perdo. Piango. L’anno scorso sono andata a prendere la Barbarina all’aeroporto il giorno prima: arrivava il 19 alle 18, sono andata il 18 alle 19.

Stasera gli amici mi danno il benvenuto e mi hanno cucinato il ragù, che poi c’è da spiegargli che io è da quattro anni che non ceno, ma non importa, mi infilerò gli spaghetti nelle maniche o dentro le tasche come al solito. Spero che ci sia il vino rosso. Mi ricordo quando ho infilato due piatti di cioncia nella borsa, e l’agenda che ha puzzato di maiale per un anno.

Si riparte.

Categorie
vita piccola

Pillole e merendine

Juanita de Paola

L’inglese si stordisce come gli elefanti per dormire – in fin dei conti è americano, proviene dalla terra foriera di libertà, empeachment e antidolorifici. Ha una collezione di pillole di tutti i colori che valgono per poco sonno, nottata tremenda, sveglia lucida alle tre e altri cataclismi che colpiscono noi esseri umani nell’ora perfetta, quella in cui torniamo rannicchiati fra le braccia della mamma e ci facciamo fare grattini onirici.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola

Per me animali morti, grazie.

Juanita de Paola

E’ arrivata la spesa a casa mediante un signore paonazzo. Si capisce che l’ordine è stato perpetrato da uomini, perchè non c’è una cosa che non scarterei, spalmerei addosso, mangerei con gocce di grasso che colano. L’idea di dieta di Zio W è come la mia di sport: fasulla e infantile.

Categorie
Juanita de Paola vita piccola women

David Bowie.

juanita

Anno Quinto dalla scoperta della pancera scosciata e dalla rimozione frudiana del tiralatte. La vita mi va bene, ho controllato il quadernino delle mie istruzioni scritto a diciassette anni e l’unico punto che ho fallito del tutto è il “ti auguro di essere già a New York” .  Faccio consuntivo e mi giro di centottanta gradi: guai a quelli che non si guardano mai indietro, diceva Mentore Uno, prima o poi li tampona un tir di ricordi. Non una bella metafora, ma si capisce bene. Me lo diceva sempre quando frignavo e mi disperavo di farlo: piangi, mi esortava, finchè ti addormenti. Al mattino mi faceva recapitare una colazione pagata. Mi giro, dunque, per incontrarmi qualche anno fa e per attingere gioia: domani è martedì, il mio giorno spreferito.

C sa mettere il disco nella plancia Pioneer con la soddisfazione di chi possiede un’auto d’epoca e la usa per andare alla Coop. Il tappeto bianco e peloso e staglia una cornice netta con il fuori, giardino selvaggio con rose e lumache senza guscio. Legno in terra, caminetto a gas e tutto al posto giusto. In giardino il piccolo cottage, con un fouton e un armadio pieno di fotografie che posso guardare la notte – io dormo qui, al riparo dagli attacchi predatori del mio padrone di casa, che mi chiama il suo migliore amico femmina. La colazione si fa fuori, piovesse o grandinasse, sotto quel cielo di quel celeste sporco che è solo lassù. Coccini bianchi, cucchiaini senza grumi di zucchero, lui col The Guardian e io con l’Independent, lui con il tea malefico, io con il caffè solubile – fonte sempiterna di gastrite e denti marroni. Perderà tutto quando, pieno di quattrino, lascerà questo bendiddio per muoversi in un palazzo a tre piani.

Ma siamo ancora qui, non è ancora stata venduta la casa con la stanza rossa ed i mobili cinesi, dove C è passato da figlio del contadino violento e beone a grande entrapreneur. Non c’è televisione, perlomeno, c’è ma non si accende. C’è un impianto Bose alto come me, e un giradischi con la puntina di diamante. Due scaffali, lunghi: i dischi sono allineati per colore ma anche per pregio. C sfila quella bianca, con David Bowie e L inizia a cantare – mi è venuta a trovare, è sul divano blue di camoscio da scarpe, credo che sia Ziggy Stardust, con quell’inizio perfetto. Un inizio non voluto, ma ritagliato, inventato lì per lì per suonare bene: questo è il genio, la forma che si frega il concetto e poi ci si incarna dopo avere riempito ogni spazio libero. Ziggy si è preso un settore del mio cervello, lì, davanti al tappeto peloso, fra il caminetto e il giardino selvaggio col sole, con L che ride, C che sorride, e a me mi esplode il cuore di gioia.