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Juanita de Paola vita piccola

Attenti alle cose immonde, alle belve che pungono e al brodo

Passeggio lentamente, con i piedi gonfi e le palpebre pesanti, voglio andare a letto. Dietro l’angolo della grande casa abbandonata di pietra, appena sotto quella della signora ancora allegra, sul dirizzone che porta al bosco, vedo un corpo disteso e urlo – invece il ragazzo è ancora vivo,  guarda le stelle. Mi saluta salvesignora, e dopo poco si fa presente anche una lei, distesa vicino, ‘sera, dice, flebile come se fosse alta un metro. Sorrido di nascosto, non imbarazzo i bambini che si tengono la mano, quasi corro via con gli stivali nello zaino.

L’odore di erba tagliata è forte, la pietra sotto i piedi è calda, c’è un soffio di aria che mi devia al giardino con le lucine natalizie e l’acqua che scorre. Massima attenzione a non pestare cose immonde o bestie velenose. Da piccola guardavo la vite con il naso in su e mi è cascata una lucertola in bocca. Una volta mi sono seduta su un ragno e mi ha martoriato una mela del sedere, ci ho messo un mese e gli antibiotici a farmelo passare. Inseguendo un cane, un’altra volta, ho strusciato forte una caviglia contro un muro basso, che mi ha fatto male più di quando i lacci dei pattini a rotelle mi aprivano le piaghe nella pelle, insomma: la natura sempre matrigna.

Mi scrive un vecchio amore, chiede come sto. Rispondo bene, e tu? ma non mi interessa; si apre la forra, volano gli spiriti dei morti, le parole non finiscono più – male lui, male loro. (Chissà se mi hanno preso in giro quando ero una loro anche io)Vuoi uscire, chiede, ti va? No, non ha funzionato prima che eravamo giovani e liberi, figuriamoci ora che sei diventato un totem del dio del brodo. Mi scrive che ha nuovi progetti, che sta imboccando la via giusta, penso allora che ha cinquant’anni e forse si trova in un cimitero di montagna.

Penso a quella povera ragazza che si è sposato, ai figli, al fiato di tutti e due al mattino, alle facce lunghe come ponti tibetani, ai massaggi craniali del parrucchiere che pian piano diventano l’unico contatto piacevole attorno al cervello di una donna. A lui che esce e la lascia a casa, con il telefono e le dita di un pistolero. Continuo a trotterellare verso il giardino e penso che ci vorrebbero occhi nuovi e pianeti sconosciuti, mica solo per me.

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vita piccola

Siamo rimasti tutti con qualcosa

Riconosco il passo pesante, saranno le quattro, ma vengo graziata: è il vicino che ha sbagliato casa, scale, fidanzata, gli chiedo ‘cosa ci fai qui’, ‘vado a letto’ dice. Lo giro di centottanta gradi, riparte giù, per le scale, ‘si, ma a casa tua’, dico. Puzza di alcol chiaro, un odore diverso da quello diabetico del vino. Avverto la compagna, non la prende bene, mi chiede ‘cosa gli avete fatto’. Penso che siamo cieche, sorde, condannate ad allevare bambini che invecchiano. Nulla gli abbiamo fatto, e poi abbiamo chi? Sono a letto dalle nove, ma di sotto c’era una festa, ho anche messo una foto su Facebook.

Alle sei la grazia finisce, rientra con il passo di chi si porta un divano sulle spalle durante una scossa di terremoto, l’odore di fogna passa la porta come un calcio, la rabbia è talmente forte che ho paura mi venga un collasso allo stomaco. Stai zitta, la bimba dorme. Tieni la bocca serrata, strizza gli occhi e respira pianissimo. Dove sei stato, cosa hai fatto stavolta, con chi o cosa hai deciso di scavarmi altri dieci centimetri di fossa?

‘Signore fallo morire’, prego tutte le sere. Subito dopo mi pento, poi vado anche alla chiesa anglicana a confessarmi, tanto Dio non si arrabbia se cambio declinazione, il prete mi guarda come un lupo guarda un coniglio zoppo. Mi succede spesso. ‘Vado a camminare’ penso, la mia soluzione ad ogni problema. Esco e metto le cuffie con i bassi potenti, ma ho pochi minuti, devo tornare dalla bimba, non si deve accorgere di nulla. Pioviggina, sono viva solo fra gli alberi. Domani ricominciamo, vedrai che ce la facciamo. Domani cambiamo bar per parlare, ‘uno dove non hai lasciato i debiti, cosa dici’? Domani passo a pagare al pub, ho paura che non diano il succo di frutta alla bimba se lo chiede. ‘Quanto deve?’ ‘Ottocento’. Ottocento. Pago.

Domani chiamo mamma.

“Come stai amore?’. ‘Sto bene mamma. Mi portano sempre a giro la Domenica’. Vorrei stare a casa, ma siamo un circo itinerante, un orrore – questo non glielo dico. Al ristorante non ordino, mangio gli avanzi di tutti, di nascosto come sempre: chi nasce tondo non muore quadrato. Domani si riattacca, un’ora e cinquanta di treno, poi il baretto; penseranno che sono matta con questo computer a botte di dodici ore a volta. Il maggiordomo alla villa ha spento la piscina riscaldata, per farci dispetto, devo risolverla, loro non sanno che per me questa è acqua fresca. Mangio un uovo lesso a mezzogiorno e uno alle tre. Mi sballa il cuore. Mancano cinque giorni a Sabato, speriamo che scoppi una guerra o che mi lascino stare a casa questa Domenica.

Quattro anni dopo, oggi, cammino senza cuffie e senza bassi, con il cane e una maglietta che lavo la sera e rimetto spiegazzata la mattina. Non mi ricordo nulla dell’odio che ho provato ma molto della paura del rumore, di notte, il desiderio che la bimba non si svegliasse, che non capisse, che non venisse impestata dalla mia rabbia bestiale, primitiva, che non sentisse le parole strascicate di quello che cammina coi piedi di uranio.

Sono sudata, contenta e ho la sensazione forte e pulita di avere girato l’angolo. Mi accompagno, senza bizze, alla Pieve, salutando ciclisti e donne con la lattuga in collo. Siamo tutti rimasti con qualcosa, io con un cesto d’amore da dare, che per ora tengo per me.

Non ho nessun conto da pagare.

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Juanita de Paola women

Amore e la distruzione

“Abbracciali tutti, tutto il giorno, raccattane i panni, lavane lo sputo nel lavandino, benedici le loro tracce terrene e l’odore dei panni sporchi, fallo in silenzio e con gratitudine: potrebbero portarti tutto via” (C.J.H). 

Non hanno uno sviluppo facile quelle relazioni che iniziano come la mia, simile a molte altre; una storia che è stata una scommessa allegra, un rimbalzo da un’altra molto più lunga e all’epoca più verosimile, forse una rivalsa. Prima una grande attrazione, la convinzione che tutto si accomoda per noi giusti. Poi una bruciatura che scarnifica, un rifiuto fisico dell’altro, un ribrezzo come da una sorsata assetata e generosa di latte rancido. Infine la solitudine vera, quella che si vive in mezzo a persone di cui non sappiamo niente, aldilà di quelle poche cose che costituiscono un’unione felice come una infelice.

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vita piccola

Storielle rock’n roll

Quello che mi interessa sono le storie che ruotano attorno alle storie. Ad esempio. Per una superstella che entra al Ritz, c’è una persona addetta alla sua vestizione che ci passerà una decina di ore assieme. Con questa, spesso, ce n’è un’altra che salta da un temp (lavoro a tempo molto determinato) ad un altro e che quella giornata deve semplicemente caricarsi dieci vestiti di scena in spalla portandoli, incellofanati, in camera di qualcuno. Che poi è la superstella.