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Juanita de Paola travel vita piccola women

Che bellissimo.

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Più di tutto mi piace leggere di altri quando non mi sottopongono i loro manoscritti. Per questo mi piace leggere i blog, snasare fra i tag, trovare storie ordinarie: non amo quello che sbuca fuori, che è troppo diverso. Mi piace la signorina Felicita, mi appassiona chi si contenta, chi fa un lavoro invece di un altro perchè così può tornare a casa a suonare la fisarmonica – deve essere per questo che faccio quello che faccio. Non c’è coerenza su questa terra. Fra i pensieri in rete favorisco quelli di autori di età non verdissima, dico, dai cinquanta in su, salvo pochissime eccezioni. Mi commuove ancora leggere i resoconti del primo viaggio fiorentino fatto dalle ragazze di sessantanni, che hanno messo da parte un bel pò ed eccole qui, a girellare per i negozi di artigianato sognando una nuova vita medieval-romantica.

Mi chiedono sempre la stessa cosa: troverò un uomo italiano come quello dei film? Sì, asserisco sicura. Perchè loro stanno pensando a La Dolce Vita, mentre io ad Alien 4. Rinasce una grazia bambina nelle donne che viaggiano dopo essere state incatenate alla famiglia tutta la vita: figli o non figli stiamo parlando di un master in real estate developement, crisis management, food and beverage stockage, human resources recruitment, lungo almeno trent’anni – a un uomo gli danno centomilaeuro per un lavoro del genere. Alleggerite dai pensieri, per almeno un mese, fumano sigarette camminando, bevono troppo, sognano con gli occhi di essere col cervello e il cuore di ora, ma col corpo dei trenta, per una sera. Qualcuna, più smaliziata, si porta i tacchi alti: con i soldi per cento taxi in tasca, si può fare eccome.

Così il giardino dei Boboli ha spalancato le mascelle alla mia amica C, che ha perso la figlia, la unica, di vent’anni per un’operazione di routine: allergica all’anestesia se n’è andata così, come un respiro affannato. Faceva le foto ai fiori, la bimba, era una designer di giardini, e quando siamo entrate nel parco C ha cominciato a tremare, a piangere, a pregare e anche a bestemmiare. Poi c’era S, che il marito le ha rubato tutto anche la moto, e ha deciso che verrà qui – le serve un piccolo appartamento con mansarda, bisogna avere poco spazio sulla testa per potersi difendere dalle avversità. E anche B, la più grande delle tre, che non smetteva di avere la diarrea. Cancro, mormoravano le altre a pranzo, quando lei andava al bagno. Poi lei tornava e lei aveva gli occhi di chi è sano ma sembra malato: quella è una stirpe che dura duecento anni.

L’esitare, davanti ad un panorama famoso, davanti al David, è lecito. Quello di cui ci siamo convinti è che si debba dire qualcosa di straordinario davanti ad opere d’arte o viste mozzafiato, invece è una boiata: “che bello, wow, oddio” sono esattamente quello che Michelangelo, Vasari e Cristo hanno voglia di sentire da lassù. Ma te l’immagini che palle il commento critico alle colline del senese. “Guarda caro, gli ossidi ferro e argilla: che nuances. Certo, nota che finezza questi grani, osserva l’indice di rifrazione”. Molto meglio un “Mi, che colori”. E questo è proprio quello che intendo: le mie ragazze, quelle che mi piacciono tanto, non hanno bisogno di dire nulla di più di quello che il cuore comanda. Senza tanti accenti, accessori, pause. La libertà deve ancora arrivare, per questo è importante conservare la bellezza del cammino.