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90 (la Paura)

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La mia strategia contro la prova bikini è quella di avere creato una società che lavora al suo massimo dal primo di giugno al primo di ottobre. Ho ogni fortuna, perchè posso andare al mare di mercoledì mattina, alle sei e quaranta, noleggiare un barchino e andarmene al largo senza dovere tollerare figli e mariti che non siano cosa mia. E già è difficile coi tuoi. Oppure posso arrivare al primo di settembre bianca come un parmigiano reggiano, con l’aria trionfante di chi ha provato a risollevare le sorti dell’economia internazionale tutto da sola, con due braccia. In ogni caso posso saltare il vacare e lamentarmi acquisendo rispetto dalle folle – le dodici persone che frequento.

Devo stare attentissima a diradare gli incontri amichevoli nello stesso periodo, perchè sono tesa come come una rete da tennis a Wimbledon. “Ah, ma te sei questa qui?” si domandano con gli occhi tutto attorno quando vegeto, a sera, sulla seggiolina del parcheggio, l’unica dove non passo altro che io e i due matti ormai amici. Non respiro, sussisto. Rispondo a monosillabi, sono davvero preoccupata che i clienti siano felici, che Rupèrtolo, il dio che governa i canali stranieri, non abbandoni l’antenna della villa storica sopra Firenze – tanto bella, ma vecchia, disfunzionale. Prego che Tùbolo, la divinità che controlla le rotture dei tubi di domenica, mi sia amico. Che Coop non trasmetta l’escherichia coli ai miei clienti: non ho ancora imparato del tutto a separare pubblico, privato, lavorativo, personale, emotivo, razionale. Sta tutto lì, mescolato in un speriamo che mi vada tutto bene.

Passa un cane senza coda, è di sicuro un segnale nefasto. Lo segue F, che tutte le volte che lo vedo me ne capita una: scusa Madonnina, sono tanto superstiziosa, non lo faccio apposta. Lo ho visto ieri e mi si è presentato uno strozzino in ufficio sotto mentite spoglie, forse a sentire che aria tirava; vendo soldi, mi dice. Annuisco, non riesco a dire niente di quello che mi passa in testa – andate via, mostri. Accompagnato da un cieco e da un povero vecchio che invece di pensare ai soldi dovrebbe mettere in olio l’anima, risucchiata. F lo ho visto stamani, di nuovo, e un gruppo di anonimi orgiastici mi ha minacciato e ricattato telefonicamente per entrare in una villa senza darmi alcun nome – paghiamo in contanti: via, brutti lerci. Non nelle mie ville. (Madonnina, te l’avevo detto che quello porta più rogna di una maga che leva il malocchio).

Passa B a trovarmi, profuma come un mazzolino di fiori anche se si lamenta del caldo. Sembra un pasticcino, lei, sveglia come un furetto, con una ciliegina sulla testa. Mi portava a giocare a tennis tanto tempo fa.  Mi piacciono le persone che non cambiano gli occhi nel tempo, e i suoi sono ancora puliti, allegri, curiosi. Tutto il contrario delle fessure, morte, di quelli che sono venuti a turbare il mio piccolo mondo lavorativo: spenti, venduti. Il vostro feticcio è fetido, signori. Scherzavo, non lavoro qui, non vorrei essere qui, io suono la chitarra e sono felice così, portate via codeste carcasse che chiamate corpi, e non vi dimenticate le spugne putrescenti, le vostre anime: vi siete venduti ai soldi, e ora raccogliete quello che avete seminato. Il vuoto. Ma vi supplico, non venite a calpestare il mio orto: c’è qualche spinacio, due o tre pomodori, è tutto da fare è vero, ma ci sfama tutti ed è rigoglioso. Felice.

Mamma mi ha regalato Django Reinhardt, so che al quarto ascolto consecutivo starò meglio. Mi faccio tanti caffè. Oggi niente corsa, oggi niente capelli da asciugare, nessuna depilazione o fondo tinta: io, davanti allo specchio con la mia lieve cuperose, a darmi dell’imbecille: quante volte mi devo dire che il mio stomaco sa prima del mio cervello cosa devo fare? Avrei dovuto dire no, non venite. Avrei dovuto dire una bugia, forse, per mascherare la paura. Avrei dovuto fare la pazza, spaventarli, farli correre via. Meno male che c’è il gelato e che si può ancora andare a letto alle dieci senza che il governo ci metta una tassa. Meno male che c’è la lingua: devo raccontare questa storia a tutti, mi devo fare confortare, non ci sono segreti e non c’è vergogna quando non si fa nulla di male. L’Inglese dice che nulla succederà – e che devo smettere di dire sempre di sì. Io gli do retta stavolta.