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Juanita de Paola vita piccola women

David Bowie.

juanita

Anno Quinto dalla scoperta della pancera scosciata e dalla rimozione frudiana del tiralatte. La vita mi va bene, ho controllato il quadernino delle mie istruzioni scritto a diciassette anni e l’unico punto che ho fallito del tutto è il “ti auguro di essere già a New York” .  Faccio consuntivo e mi giro di centottanta gradi: guai a quelli che non si guardano mai indietro, diceva Mentore Uno, prima o poi li tampona un tir di ricordi. Non una bella metafora, ma si capisce bene. Me lo diceva sempre quando frignavo e mi disperavo di farlo: piangi, mi esortava, finchè ti addormenti. Al mattino mi faceva recapitare una colazione pagata. Mi giro, dunque, per incontrarmi qualche anno fa e per attingere gioia: domani è martedì, il mio giorno spreferito.

C sa mettere il disco nella plancia Pioneer con la soddisfazione di chi possiede un’auto d’epoca e la usa per andare alla Coop. Il tappeto bianco e peloso e staglia una cornice netta con il fuori, giardino selvaggio con rose e lumache senza guscio. Legno in terra, caminetto a gas e tutto al posto giusto. In giardino il piccolo cottage, con un fouton e un armadio pieno di fotografie che posso guardare la notte – io dormo qui, al riparo dagli attacchi predatori del mio padrone di casa, che mi chiama il suo migliore amico femmina. La colazione si fa fuori, piovesse o grandinasse, sotto quel cielo di quel celeste sporco che è solo lassù. Coccini bianchi, cucchiaini senza grumi di zucchero, lui col The Guardian e io con l’Independent, lui con il tea malefico, io con il caffè solubile – fonte sempiterna di gastrite e denti marroni. Perderà tutto quando, pieno di quattrino, lascerà questo bendiddio per muoversi in un palazzo a tre piani.

Ma siamo ancora qui, non è ancora stata venduta la casa con la stanza rossa ed i mobili cinesi, dove C è passato da figlio del contadino violento e beone a grande entrapreneur. Non c’è televisione, perlomeno, c’è ma non si accende. C’è un impianto Bose alto come me, e un giradischi con la puntina di diamante. Due scaffali, lunghi: i dischi sono allineati per colore ma anche per pregio. C sfila quella bianca, con David Bowie e L inizia a cantare – mi è venuta a trovare, è sul divano blue di camoscio da scarpe, credo che sia Ziggy Stardust, con quell’inizio perfetto. Un inizio non voluto, ma ritagliato, inventato lì per lì per suonare bene: questo è il genio, la forma che si frega il concetto e poi ci si incarna dopo avere riempito ogni spazio libero. Ziggy si è preso un settore del mio cervello, lì, davanti al tappeto peloso, fra il caminetto e il giardino selvaggio col sole, con L che ride, C che sorride, e a me mi esplode il cuore di gioia.

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Che bellissimo.

juanitadepaola

Più di tutto mi piace leggere di altri quando non mi sottopongono i loro manoscritti. Per questo mi piace leggere i blog, snasare fra i tag, trovare storie ordinarie: non amo quello che sbuca fuori, che è troppo diverso. Mi piace la signorina Felicita, mi appassiona chi si contenta, chi fa un lavoro invece di un altro perchè così può tornare a casa a suonare la fisarmonica – deve essere per questo che faccio quello che faccio. Non c’è coerenza su questa terra. Fra i pensieri in rete favorisco quelli di autori di età non verdissima, dico, dai cinquanta in su, salvo pochissime eccezioni. Mi commuove ancora leggere i resoconti del primo viaggio fiorentino fatto dalle ragazze di sessantanni, che hanno messo da parte un bel pò ed eccole qui, a girellare per i negozi di artigianato sognando una nuova vita medieval-romantica.

Mi chiedono sempre la stessa cosa: troverò un uomo italiano come quello dei film? Sì, asserisco sicura. Perchè loro stanno pensando a La Dolce Vita, mentre io ad Alien 4. Rinasce una grazia bambina nelle donne che viaggiano dopo essere state incatenate alla famiglia tutta la vita: figli o non figli stiamo parlando di un master in real estate developement, crisis management, food and beverage stockage, human resources recruitment, lungo almeno trent’anni – a un uomo gli danno centomilaeuro per un lavoro del genere. Alleggerite dai pensieri, per almeno un mese, fumano sigarette camminando, bevono troppo, sognano con gli occhi di essere col cervello e il cuore di ora, ma col corpo dei trenta, per una sera. Qualcuna, più smaliziata, si porta i tacchi alti: con i soldi per cento taxi in tasca, si può fare eccome.

Così il giardino dei Boboli ha spalancato le mascelle alla mia amica C, che ha perso la figlia, la unica, di vent’anni per un’operazione di routine: allergica all’anestesia se n’è andata così, come un respiro affannato. Faceva le foto ai fiori, la bimba, era una designer di giardini, e quando siamo entrate nel parco C ha cominciato a tremare, a piangere, a pregare e anche a bestemmiare. Poi c’era S, che il marito le ha rubato tutto anche la moto, e ha deciso che verrà qui – le serve un piccolo appartamento con mansarda, bisogna avere poco spazio sulla testa per potersi difendere dalle avversità. E anche B, la più grande delle tre, che non smetteva di avere la diarrea. Cancro, mormoravano le altre a pranzo, quando lei andava al bagno. Poi lei tornava e lei aveva gli occhi di chi è sano ma sembra malato: quella è una stirpe che dura duecento anni.

L’esitare, davanti ad un panorama famoso, davanti al David, è lecito. Quello di cui ci siamo convinti è che si debba dire qualcosa di straordinario davanti ad opere d’arte o viste mozzafiato, invece è una boiata: “che bello, wow, oddio” sono esattamente quello che Michelangelo, Vasari e Cristo hanno voglia di sentire da lassù. Ma te l’immagini che palle il commento critico alle colline del senese. “Guarda caro, gli ossidi ferro e argilla: che nuances. Certo, nota che finezza questi grani, osserva l’indice di rifrazione”. Molto meglio un “Mi, che colori”. E questo è proprio quello che intendo: le mie ragazze, quelle che mi piacciono tanto, non hanno bisogno di dire nulla di più di quello che il cuore comanda. Senza tanti accenti, accessori, pause. La libertà deve ancora arrivare, per questo è importante conservare la bellezza del cammino.