Povere donne di merito.

Le tavolate di donne di merito, si sa, sono tragiche: quella che per fare funzionare la sua societa’ ha perso marito e tata (assieme), quella che ha ripiegato su un cameriere argentino nano perche’ ha un talento per i picchiatori e almeno cosi’ non finisce piu’ all’ospedale, quella che si consola con i piatti pieni perche’ il resto e’ cosi’ vuoto e solitario, quella che corregge di nascosto le sceneggiature del marito fallito vinaio e le invia ai suoi ex amanti editori, e cosi’ via. Io, come disse Scalfaro, non ci sto. In un mondo di donne prese per il culo per la loro eccessiva emotivita’ sul lavoro, di femmine stragiate in scarpe larghe perche’ non si puo’ inseguire un figlio col tacco dodici a meno che non lo insegua la au-pair, di ragazze che si ritrovano nonne e non capiscono nemmeno da dove sono passate, io sono stufa delle lezioni di qualche cazzone di buona famiglia che con le ali monetarie ben salde sulle spalle, fissate da papa’ e lisciate da mamma’, cerca di impartirmi lezioni di gusto. Si’, e’ vero, io non sono una di quelle che sanno scegliere bene i vestiti, non ho la french manicure, non conosco l’ultimo grido in fatto di chefs neozelandesi, ma conosco la vita e le sue fatiche, e voglio rispetto. Io non riesco a chiudere la porta dell’ufficio e con quella la scatola nera delle mie speranze lavorative o la pressione, tremenda, di pagare le persone che lavorano per me: ce la faro’? Ho sbagliato tutto? Ho qualche speranza di essere al posto giusto nel momento giusto? Queste domande mi tormentano giorno e notte, mi hanno fatto venire le rughe in mezzo alla fronte, perche’ io non ce l’ho un piano b, non ho un’attivita’ consolidata di famiglia in cui rifulgere per le mie idee geniali. Io devo bussare alle porte come un venditore di aspirapolvere, scusarmi della mia insolenza, propormi in trenta secondi per non annoiare chi mi sta davanti, stare attenta a non dire quello che penso davvero, perche’ potrei chiudere la bottega – e il mio futuro, e quello di mia figlia. Voglio, esigo, rispetto, per lo sforzo quotidiano di essere palluta sul lavoro, signora in salotto e puttana in camera da letto, perche’ e’ una fatica che va aldila’ delle mie forze, eppure ce la metto tutta. Le lezioni di questi signorotti mi hanno stancato: anche io vorrei vedermi l’opera nel mio salottino privato del Teatro della Scala, fare beneficenza e avere una carta di credito con un fido infinito, cosi’, di default, ma non ce l’ho: non me le hanno date.

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