We can work it out.

Non che io ci sia ancora, alla mezza età. Ma immagino che funzioni un pò come per le società: quando tutto va a rotoli i componenti o si affiatano ancora di più o mollano, vendono le quote, le regalano al primo che passa. Così anche nel proprio privato a un certo punto bisogna prendere decisioni: tagliare di qui, assumere di là, cambiare commercialista e così via. E’ della nostra vita che si parla, e siccome fino a prova contraria ce ne danno una sola, abbiamo tutto l’interesse a farcela piacere. Detto questo io sono oltre metà cammino per arrivare alla mezza età, quindi devo cominciare a pormi i problemi, per non diventare una di quelle che si fanno la permanente il primo martedì di ogni mese e vanno a ballare la Macarena.

Fra i comportamenti, le atmosfere, che più concorrono a farmi credere che il matrimonio più che un sacro vincolo sia un’associazione a delinquere ci sono quei musi lunghi come autostrade che ti inquinano la giornata, assieme alla falsa credenza che si sia effettivamente autorizzati a vomitare ogni sensazione che ci capita in testa addosso al rispettivo partner. Della serie: oggi ho avuto una giornata terribile, aspetta che te la rovescio addosso con gli interessi. Certo che questi sono solo piccoli particolari rispetto all’amore che si prova, ai desideri comuni, ai piani e a tutte le cose che ci siamo inventati per giustificare la monogamia, che sta all’istinto naturale come il martello al dito (necessario per piantare qualche chiodo, ma che male quando si sbaglia la mira). Ma è anche vero che sono le piccole cose che ci fanno felici come tordi o tristi come calze spaiate.

Quindi un giorno uno si sveglia, una si alza, tutti e due si guardano allo specchio e non si ricordano perchè stiano sostando in quel posto in particolare. Ah! Perchè siamo una famiglia. Oppure. Perchè ci siamo sposati e abbiamo speso seicento euro a invitato, incluso il noleggio della Villa Belvedere vicino a Torino. O nel Chianti Shire.  Oppure. Non me lo ricordo. E’ allora che inizia il gioco duro, daltronde non puoi rimanere con qualcuno solo perchè dieci anni fa o trenta gli stavano bene i jeans e leggeva i tuoi libri preferiti, dicono. E lo dicono perchè sbagliano: esiste un mondo di leggerezza, da qualche parte, da conquistare a forza di graffi e pianti, un universo di cose piacevoli, tipo: il tuo fidanzato ha un culo da competizione. Le tue amiche ti portano i vestiti dai loro viaggi. Tua figlia ti dice che ti ama. Sul lavoro c’è un segretario maschio che porta il caffè. Tua madre si è tinta i capelli di rosso ribes. Tuo padre ha comprato casa in Cile. Tu e il tuo marito andate ad Amsterdam di tanto in tanto, ma anche a Pantelleria. Ma anche nell’Argentario. E vi portate un panino, tanto l’importante è stare sulla spiaggia con una magliettazza e morire dal ridere.

E’ tutto lì, è tutto nella capacità di dire: io voglio. Io voglio partecipare ad un festival di arte come performer. Voglio dipingere la casa di verde. Voglio una sfilza di cactus. Voglio vivere di cappuccini fenomenali. Amore, cerca di non rompermi i coglioni, suvvia: non vedi che cerco di essere felice?

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